Due casi in pochi giorni di bimbi appena nati lasciati dalle loro madri alla cura di altri. Dopo il piccolo Enea, ieri una donna ha lasciato la propria figlia neonata all’Ospedale Buzzi di Milano. Madri che non ce la fanno, non riescono, non hanno le risorse… ma hanno scelto la vita. Non hanno abbandonato i figli, li hanno affidati. Si sono accorte di un altro cuore che batte, di un altro corpo che si muove e del loro corpo che si è adattato, si è dilatato per diventare casa, per rendere possibile la vita.
Come quel giorno sulla croce. Mentre le tenebre si infittivano, mentre il mondo derideva, mentre i potenti esultavano, avveniva il grande abbraccio tra l’affidamento e l’adozione definitivi. “Donna, ecco tuo figlio!”.
Il Figlio affida l’umanità alla Madre. “Giovanni, ecco tua madre!”. La Madre adotta l’umanità affidata dal Figlio. In croce, nel momento più duro, avviene la cosa più grande. Accade il miracolo di un’adozione unica, perché è il Figlio ad affidare la Madre. Un’adozione unica che diventa il punto di incontro, il vertice, di ogni affidamento e adozione umani. Il Creatore affida la sua creatura alla più “umile e alta” tra esse. Un uomo diviene figlio di una Madre che non l’ha generato, ma che avrà avuto da sempre la sensazione di essere stata pensata per un compito così. La giovane fanciulla di Nazaret, che ad appena 15 anni aveva generato il Figlio di Dio, ora si ritrova quasi cinquantenne a scoprire fino in fondo la portata del suo “Eccomi, sono serva del Signore. Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Maria nasce per essere “la Madre”. L’intesa unica che aveva con Gesù è l’intesa unica che ha con ciascuno di noi, soprattutto con le nostre madri. Anche con le madri che non ce la fanno, che non reggono il peso, che preferiscono affidare.
In realtà, nei gesti estremi di questi giorni, si fa largo una drammatica domanda: e tutti gli altri dove sono? Tutti i bambini non affidati, tutti quei bimbi che non hanno potuto godere di un padre e di una madre, perché sono stati uccisi prima di nascere, dove sono?
Sono qui davanti a noi a gridare in silenzio che la vita non è in mano nostra, che il futuro non è a nostra disposizione, che la libertà è anzitutto la loro di poter respirare e piangere e domandare e camminare e soffrire e poter dire “io”… e che la loro morte è un’ingiustizia.
Vengono alla mente le parole del profeta Isaia: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai” (Is 49,15).
Quanti di noi hanno fatto esperienza di un abbraccio così! L’unico vero diritto è ad essere voluti e abbracciati così come siamo. Per questo occorreva quell’ultimo comando: “Donna, ecco tuo figlio!”, rivolto a colei che aspettava solo di essere confermata dal Figlio in ciò che sentiva da sempre. Conferma arrivata nel sangue, nel sudore e nel dolore, perché la forma dell’amore è la croce.
Grazie mamme che avete affidato i vostri figli! Grazie! Chissà cosa diventeranno e cosa diventerà il mondo grazie a loro. Grazie giovani donne che avete voluto fare i conti con l’altro in voi. Grazie, perché costringete anche noi a fare i conti con l’Altro in noi. Non badate ai commenti delle persone perbene, non chiudetevi nel rimorso, lasciate che la Madre raccolga la vostra maternità e la faccia fiorire nella vita che questi bimbi incontreranno e nelle avventure che la vita riserverà per voi.
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