Un anno di guerra in Europa ha accelerato processi che si erano resi manifesti immediatamente dopo il brevissimo periodo gorbacioviano e il crollo dell’Urss, quando la Mitteleuropa pareva poter risorgere unitamente alle nazioni baltiche inglobate un tempo nell’imperialismo sovietico.

Se la Germania fosse sì ritornata unita, ma in un contesto economico diverso da quello del liberismo dilagante nell’Anglosfera e nel mondo, il sistema internazionale si sarebbe configurato con una ben diversa fisionomia. Eltsin e la sua dipendenza organica dal liberismo finanziarizzato dilagante non avrebbero creato il mostro oligarchico putiniano-mistico-ortodosso come risposta a un’operazione imperiale nordamericana e britannica di distruzione economica della Russia, tanto come nazione quanto come impero.



Di qui l’ascesa del protagonismo anti-russo e filo-anglosferico della Polonia, la divisione della Cecoslovacchia, il nuovo protagonismo baltico e balcanico che si confronta con quello neo-ottomano.

Al centro si collocò da allora – anzi si riaffermò – la vocazione tedesca verso un nuovo “assalto al cielo”, percorrendo la strada dello storico spazio vitale che passa per Mosca e Pechino e giunge a Vladivostok.



Si scoprirà, quando gli animi saranno liberi dal risentimento e dal dolore per l’aggressione russa al popolo ucraino – anche qui seguendo le orme di una terribile storia che ritorna ciclicamente – che è di nuovo la questione della potenza tedesca a essere in gioco. Una questione insopportabile – con la potenza odierna della Cina – per gli Usa e il Regno Unito: Polonia, baltici e scandinavi sentono oggi risuonare le volontà di potenza mescolate con il terrore per i massacri perpetrati dai russi nella storia non solo recente. Uno scenario che non poteva che portare a una dislocazione dei sistemi di potenza con il riarmo in un’Europa non europea, ossia con un anglosferismo dominato dagli Usa. Così ponendo la Francia in una posizione subalterna quanto la Germania e richiamando all’alleanza fraterna il Regno Unito, Brexit o non Brexit.



Anche qui una rivelazione di quanto pericoloso e solo fanaticamente ideologico-neo vitalistico e ateistico sia il costrutto dell’Unione Europea. L’Italia si trova così a dover svolgere un ruolo che non può che essere attivo in questa dislocazione di poteri. La ragione non sta nelle pulsioni della politica, ma nel ruolo del Mediterraneo, nella storia e… nella geografia.

Odessa – la comunità italiana vi risiede con orgoglio da secoli – è la porta del Mediterraneo. E prima di arrivare sia a Suez che a Gibilterra il mare nostrum bisogna varcarlo. Lo sanno i russi, che scorrazzano oggi nelle acque limitrofe alle nostre italiche sponde. E sanno che l’Italia non possiede neppure un aereo antisommergibile, come sa benissimo l’ammiraglio Credendino, capo di stato maggiore della marina militare.

Ecco dunque che la nuova centralità dell’Italia va ben oltre il ruolo della premier Meloni. È un sistema che muta e che delinea un nuovo asse di potere che parte dal Baltico, passa per la Polonia e finisce nel Mediterraneo. E così stride con il dramma balcanico e riaccende bracieri mai spenti. È un fuoco che deve cominciare a diventare una brace, altrimenti non potrà mai spegnersi.

Per questo è necessario non farsi illusioni sulla Cina, il cui unico fine è porsi alla testa di un fronte mondiale che costituisce una sorta di non allineamento post Bandung con a capo India, Brasile e gran parte degli Stati africani e latinoamericani.

Prendere coscienza con realismo dello stato delle cose è il primo passo per costruire il cessate il fuoco.

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