È ormai trascorso un anno dall’atterraggio forzoso della vecchia Alitalia, dopo 74 anni di onorata carriera e una vecchiaia accidentata, e anche un anno dal debutto del nuovo vettore totalmente pubblico ITA. Tralasciando tutta la storia del tentativo di vendita di ITA al fondo americano Certares, e la sorpresa che non sia stata invece scelta la cordata rappresentata da MSC e da Lufthansa, e tralasciando altresì la disturbante telenovela, dal punto di vista del contribuente che si ritrova a essere azionista involontario dell’azienda, dei dissidi tra l’Amministratore delegato e il Presidente esecutivo, vogliamo solo provare a tracciare un bilancio del nuovo vettore in base agli scarsi numeri disponibili.



Una prima domanda è piuttosto ovvia ed è: quanto vola ITA rispetto alla vecchia Alitalia? La risposta in questo caso è facile, potendoci avvalere dei dati giornalieri dei voli resi disponibili da Eurocontrol, ed è: molto poco. I numeri dettagliati sono tuttavia rappresentati nel Grafico 1.

Grafico 1 – Voli di ITA e della vecchia Alitalia (Voli medi giornalieri su medie mobili di 7 giorni)



Fonte: elaborazioni su dati Eurocontrol.

Come si può vedere dal grafico, la vecchia Alitalia in amministrazione straordinaria effettuava nell’anno 2019, prima che si manifestasse il Covid, una media di 500 voli giornalieri tanto nel trimestre invernale che in quello autunnale, per poi accrescere l’offerta in primavera, attestandosi su una media di 600 voli giornalieri nei mesi di punta di giugno e luglio, e ridurla nuovamente da settembre in avanti. La nuova ITA, invece, è partita a metà ottobre 2021 con un’offerta media giornaliera di soli 200 voli, il 40% della vecchia Alitalia, e lì è rimasta sino alla metà dello scorso gennaio. Il dato si è poi ulteriormente ridotto a meno di 150 nel mezzo dell’inverno e si è risollevato solo in primavera, per poi attestarsi su un livello di circa 330 lungo tutto il trimestre estivo, il 55% di Alitalia nella stessa stagione prima del Covid.



La seconda domanda è la logica conseguenza della prima: quanto pesa la nuova ITA sul mercato italiano del trasporto aereo? E la risposta è altrettanto facile, sempre in base ai dati Eurocontrol: pochissimo. Il Grafico 2 è una fotografia del mercato italiano del trasporto aereo in cui è illustrato il peso di ITA rispetto ai rimanenti vettori, quasi tutti esteri.

Grafico 2 – Il mercato italiano del trasporto aereo (Voli medi giornalieri su medie mobili di 7 giorni)

Fonte: elaborazioni su dati Eurocontrol.

Se vogliamo renderci meglio conto del trascurabile peso di ITA sul mercato italiano possiamo calcolare la sua quota di mercato in base ai voli effettuati. I dati giornalieri, calcolati però su medie mobili di sette giorni per evitare la variabilità infrasettimanale, sono riportati nel Grafico 3.

Grafico 3 – Quota di mercato di ITA calcolata sui voli (Dati % su medie mobili di 7 giorni)

Fonte: elaborazioni su dati Eurocontrol.

Da quando è decollata e sino a pochi giorni fa ITA ha effettuato l’8% di tutti i voli commerciali sui cieli italiani e attualmente detiene una quota di circa l’8,5%, molto simile a quella dell’ultimo trimestre dello scorso anno.

La terza domanda è quella di maggior interesse per il contribuente, azionista involontario ma non a sua insaputa di ITA: quanto perde il nuovo vettore? Qui i dati divengono molto rarefatti. Sembrerebbe che il Cda di ITA abbia approvato la relazione semestrale relativa alla prima metà dell’anno, tuttavia nessun numero è trapelato. In sua assenza possiamo tuttavia svolgere qualche considerazione a partire dal bilancio annuale del 2021, periodo nel quale il vettore ha tuttavia volato solo gli ultimi due mesi e mezzo.

I numeri sono complessivamente molto negativi anche se occorre ovviamente domandarci quanto siano influenzati dal debutto aziendale e dal fatto che esso sia avvenuto in un momento in cui il Covid non era stato del tutto superato. Nel 2021 ITA ha trasportato 1,25 milioni di passeggeri paganti e incassato dai medesimi 88 milioni di euro, che divengono 90 se si includono anche gli altri proventi dell’esercizio. Per svolgere la sua attività ha tuttavia speso 268 milioni di euro, subendo una perdita industriale (Ebit) di ben 178 milioni. In sostanza ogni tre euro spesi ne ha incassato uno solo e persi due. Per ogni passeggero trasportato l’incasso è stato di 72 euro, il costo di 214 euro e la perdita industriale di 138 euro. Sembrerebbe trattarsi di un unicum nella storia dell’aviazione mondiale. Le componenti industriali del conto economico di ITA sono illustrate nel Grafico 4.

Grafico 4 – Costi e ricavi operativi di ITA nel 2021 (Milioni di euro)

Fonte: ITA, Relazione di Bilancio 2021.

Questi dati così problematici del 2021 sono destinati a ripetersi nel 2022 oppure possono essere radicalmente migliorati? In primo luogo, occorre rilevare che tutte le voci riportate nel conto economico sono voci tipiche di un vettore operativo, esse registrano costi che sono stati sostenuti per volare. Certamente in questo primo esercizio vi sono stati anche oneri preliminari all’attività di volo vera e propria, sostenuti per ottenere autorizzazioni e certificazioni oltre che per il funzionamento dell’azienda prima che divenisse operativa. Ma è molto difficile che essi abbiano inciso per una quota significativa dei costi complessivi.

Invece un secondo fattore che può aver influito in maniera più consistente nel generare questo consistente squilibrio tra costi e ricavi è indubbiamente il basso load factor, il limitato tasso di occupazione dei posti dei mesi iniziali, tipico di un’impresa di trasporto aereo al debutto, ma nel caso specifico anche aggravato dai persistenti effetti del Covid. In conseguenza non deve essere considerato tanto rilevante il costo industriale per passeggero preso a bordo, che è destinato a scendere quando il load factor cresce, quanto piuttosto il costo per posto offerto che è invece indipendente dal load factor.

Questo indicatore è migliore o peggiore nel caso di ITA rispetto alla vecchia Alitalia? Per la vecchia azienda è possibile ricostruirlo per l’anno 2017, ultimo anno per il quale i commissari straordinari pubblicarono i dati industriali necessari per il calcolo. In quell’anno, che vide nel mese di maggio il passaggio dalla gestione Etihad all’amministrazione straordinaria, Alitalia trasportò 21,3 milioni di passeggeri e offrì 27 milioni di posti, con un load factor del 78,7%. Tenuto conto della lunghezza media delle rotte, pari a 1.560 km, essi corrispondono a 42,3 miliardi di posti km offerti per produrre i quali la gestione spese 3,44 miliardi di euro. Dividendo l’ultima cifra per la penultima si ottiene che ogni sedile che ha volato per un km è costato 8,1 centesimi di euro o, se si preferisce, che per far volare un sedile, occupato o meno, per mille km si  sono spesi 81 euro.

Com’è andata invece con ITA nel 2021? La relazione di bilancio ci informa che il vettore ha trasportato 1,25 milioni di passeggeri e prodotto 2,4 milioni di posti, con un load factor del 53,7%. Di essi 1,7 milioni di posti sono stati prodotti sul segmento domestico, corrispondenti, se si ipotizzano 600 km di rotta media, a 1 miliardo di posti km offerti. Invece sul segmento internazionale sono stati offerti 700 mila posti i quali, ipotizzando una rotta media di 1.150 km, corrispondono a 800 milioni di posti km offerti. In totale dunque l’azienda avrebbe prodotto 1,8 miliardi di posti km sostenendo un costo industriale di 268 milioni di euro. Anche per ITA dividiamo l’ultima cifra per la penultima scoprendo che ogni sedile che ha volato per un km è costato 14,9 centesimi di euro o, se si preferisce, che per far volare un sedile, occupato o meno, per mille km si  sono spesi 149 euro.

Si tratta di una cifra decisamente più alta degli 81 euro della vecchia Alitalia nel 2017, tuttavia le due cifre non sono immediatamente confrontabili in quanto nella vecchia Alitalia il lungo raggio intercontinentale pesava per quasi metà di posti km totali prodotti mentre nella nuova ITA praticamente non c’è stato, impedito dalle restrizioni Covid e aperto solo in ritardo e in misura limitata sulla rotte per New York. Produrre posti sul lungo raggio intercontinentale costa all’incirca la metà per sedile km rispetto al breve raggio, per fattori differenti tra cui principalmente il minor peso dei costi aeroportuali e di assistenza al volo in partenza e arrivo e per i minori consumi per km volato. Pertanto se vogliamo stimare i costi unitari del solo breve raggio della vecchia Alitalia nel 2017 dobbiamo imputarvi due terzi dei 3,44 miliardi di costi totali dell’anno, ovvero 2,3 miliardi. Questa cifra va divisa per i 21 miliardi di posti km prodotti sul breve raggio, ottenendo un costo di 10,8 centesimi per posto km offerto o, se si preferisce, 108 euro per un sedile che vola per mille km. Quest’ultima cifra è ora pienamente confrontabile con quella di ITA 2021 e resta tuttavia decisamente minore. Infatti i 149 euro di ITA risultano più elevati del 37% rispetto al costo unitario della vecchia Alitalia. Il Grafico 5 riporta il confronto tra questo valore unitario di  Alitalia 2017, corretto per il breve raggio, e ITA 2021, scomponendo entrambi per grandi aggregati di voci di costo.

Grafico 5 – Costo per un posto di breve raggio per mille km di volo  (Euro)

Fonte: elaborazioni su dati Relazione finanziaria ITA 2021 e audizione dei Commissari di Alitalia al Senato del 18 maggio 2018.

Notare che il costo del carburante è identico nei due casi e quello del personale quasi. Decisamente maggiore invece il costo della flotta per posto offerto (che comprende ammortamenti e manutenzioni), più alto del 40%, e soprattutto quello dei servizi esterni, maggiore del 71%. La gestione di ITA non appare in conseguenza sostenibile dal lato dei costi e la stessa valutazione deve essere fatta dal lato dei ricavi. Con il mercato del breve raggio ormai saldamente detenuto dai vettori low cost, i quali ne occupano oltre il 70%, sono loro a decidere quali tariffe ITA può applicare e si tratta ovviamente di tariffe molto distanti dai costi unitari di produzione del vettore pubblico, in qualunque modo egli possa provare a efficientarli. Una valutazione ex ante corretta delle prospettive di ITA ne avrebbe assolutamente sconsigliato la nascita, con grande sollievo del contribuente, suo azionista involontario.

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