La famosissima cantante Beyoncé è destinata a fare – ancora una volta – la storia entrando tra i banchi della prestigiosa università americana di Yale come protagonista (ovviamente indiretta e non in qualità di docente) di un corso che verrà inaugurato ufficialmente il prossimo semestre tenuto dalla professoressa – già titolare di una cattedra a Princeton per un corso sul ruolo delle donne afroamericane nella musica popolare – Daphne Brooks che ha personalmente ideato il corso presentandolo al board di Yale che avrebbe (quasi ovviamente) accettato immediatamente la proposta: complessivamente l’insegnamento su Beyoncé varrà un credito e avrà una durata di pochi mesi.



Di fatto, il corso universitario su Beyoncé non è un unicum a livello mondiale – e soprattutto americano – perché la stessa sorte era già toccata all’altrettanto famoso cantautore Bob Dylan e, più recentemente, a Taylor Swift che è finita al centro di corsi dedicati ai suoi testi e alla sua musica, oltre che alla sua influenza culturale; ma anche dal punto di vista del vero e proprio fenomeno sociale in grado di modificare con i suoi tour l’economia degli stati in cui approda.



Che cosa tratterà il corso di Yale su Beyoncé: la sottomissione afroamericana, femminismo e filosofia nera

Restando – però – sul caso di Yale, il corso della 32 volte vincitrice del Grammy partirà dal suo omonimo album pubblicato nel 2013 per arrivare fino ai giorni nostri con il disco – pubblicato solamente lo scorso marzo – ‘Cowboy Carter‘ per analizzarne a fondo i testi collegandoli al “lavoro critico ed intellettuale – spiega la docente – di alcuni dei più grandi pensatori e filosofi della cultura americana” e soprattutto alla “tradizione intellettuale radicale nera”.



Negli album di Beyoncé – infatti – secondo la docente riecheggia l’eco storico di “oltre 400 anni di storia della sottomissione afroamericana” in quella che viene definita una vera e propria “memoria storica” che include anche “la politica femminista nera, la politica generale e le filosofie di liberazione nera” che dal conto della professoressa Brooks è “presente in tutto il suo lavoro” in una misura che “semplicemente non vedi in nessun altro artista”.