Dopo un mese di invasione russa in Ucraina, dopo un mese di orrore di guerra, si può al momento concludere con realismo che si è arrivati solamente a un tragico stallo. Per chi vive con angoscia questa situazione nel cuore dell’Europa, per chi fa dei calcoli approssimativi di morti, profughi, bambini in fuga con madri e nonni, diventa alle volte quasi irritante il ritornello del confronto diplomatico che sarebbe in corso, delle ricerca di trattativa e mediazioni.



La sensazione è che la ricerca di un compromesso accettabile per arrivare almeno a una tregua di questa tragedia sia quasi una “recita”, sia quasi un “trucco perverso” per mantenere ancora per chissà quanto tempo questa situazione di destabilizzazione mondiale con tutti i rischi annessi e connessi.



Si può aggiungere qualche cosa di più: l’impressione è che la trattativa sia solo una brutale conta degli schieramenti in campo e la voglia di verificare se è addirittura possibile un rischio di guerra allargata ovvero la ricerca di un nuovo ordine mondiale a seconda delle forze in campo e delle nuove alleanze possibili.

La constatazione amara, triste, sconfortante è che malgrado la quasi unanimità dell’Occidente nel sostegno all’Ucraina (che viene ripetuta ossessivamente), le critiche per i trenta anni passati a guardare un mondo che è cambiato e continua a cambiare, nessun Organismo internazionale, nessun Tribunale dei diritti umani, nessuna potenza emergente o consolidata sia in grado di imporre almeno un “cessate il fuoco”, un “cease-fire” (che di fatto dura ancora) come avvenne nella Guerra di Corea tra il 1950 e il 1953. Il tutto sembra incredibile, ma è vero, reale.



Trenta giorni di guerra sono, in questi tempi, un’infinità e dalle immagini che arrivano via etere dall’Ucraina ci si trova di fronte a città distrutte, contemporaneamente a una serie di notizie contraddittorie, che si modificano di ora in ora. Alcune città si danno per cadute nelle mani dei russi. Poi, poco dopo, si parla di controffensiva ucraina e di avanzata lenta russa, ma si ritorna subito alla costante avanzata delle armate di Vladimir Putin.

E i morti, le persone morte, da una parte e dall’altra, quanti sono esattamente e non secondo i bollettini truccati dalla propaganda?

Questo è lo sfondo tragico, nello stallo sempre più tragico. Poi ci sono manovre incomprensibili che lasciano lo spazio a una serie di  speranze, di previsioni che sembrano quasi delle “profezie” alla Francis Fukuyama, cioè “bufale accademiche” di prima grandezza.

Il famoso teorico della “fine della storia” non aveva previsto (e con lui molti altri buontemponi) che la vecchia balcanizzazione, termine che si usava quando l’ordine europeo andava in crisi, si è trasferita in una “balcanizzazione della globalizzazione”, perché la nuova dimensione è stata affrontata con superficialità, senza controlli politici e lasciata al gioco dei profitti finanziari e all’ansia di potenza, perduta o sperata, di alcune nazioni, in un mondo del tutto nuovo.

Il rischio di una simile e nuova balcanizzazione è drammatico quanto non è mai stato, perché oggi ci sono le testate atomiche. Eppure la sensazione è questa: quella che alcuni si arrendano a un nuovo tavolo di trattativa per un nuovo ordine mondiale dove Occidente e Oriente si confrontino specificando le loro competenze di influenza, solo dopo un duro confronto.

In questo momento la destabilizzazione, la balcanizzazione dell’illusoria globalizzazione pacifica sotto la bandiera del neoliberismo che si riunisce a Davos (porta rogna, leggere “La montagna incantata” di Thomas Mann), non sta provocando una spregevole guerra di invasione per alcuni territori che rivendica la Russia e a cui l’Ucraina si oppone, ma sta provocando una crisi economica mondiale che si trasformerà nel giro di pochi mesi in una recessione durissima.

C’è al proposito chi gioca con le definizioni: siamo in una stagflazione? Siamo in una recessione? Siamo in un rallentamento  della crescita dopo la pandemia? Oppure, molto più esplicitamente, siamo già in un’economia di guerra?

Le risposte le lasciamo a questi nuovi esperti neoliberisti che, dalla crisi del 2008 da loro provocata, non sono più riusciti a far risalire l’economia ai valori di un tempo, mentre contemporaneamente finanza ed economia si prendevano lo spazio che spetta alla politica e ai Parlamenti.

Il risultato è che qualsiasi cittadino normale, anche italiano, in questo periodo normale paga le merci più semplici, anche il pane, con un rincaro incredibile. C’è uno spettro che si affaccia da qui a pochi mesi: la carenza di esportazione di grano e mais dall’Ucraina e dalla Russia provocherà la carenza o il rincaro di beni essenziali, con contraccolpi terribili per continenti come l’Africa e altre zone povere della terra e con un conseguente spostamento di profughi da una zona all’altra del mondo. È evidente che di fronte a simili prospettive economiche, che diventano drammatiche se si pensa alla tanto sbandierata “conversione energetica” da realizzare in tempi brevi, ci sia la preoccupazione per il riarmo a cui ricorrono tutti i Paesi,

Per il famoso detto tedesco “il passato che non passa” (cioè l’incubo di un ritorno al nazismo) la Germania non ha mai investito molto in armamenti, adesso ha fatto un programma che la porterà a essere una sorta di quarta potenza armata nel giro di pochi anni.

Sia chiaro che un conto è aiutare l’Ucraina aggredita e un conto è un riarmamento programmato in breve tempo. È a questo punto c’è un dubbio che sta logorando i nostri pensieri, forse c’è più di una grande potenza che sta sfruttando questa balcanizzazione armata, magari rischiando qualche guerra allargata, per arrivare a un tavolo di una trattativa dove si mette in gioco soprattutto la potenza e l’influenza delle armi. Trattate, trattate, poi si vedrà! Fate le sanzioni, che alcuni non capiscono, poi si vedrà!

Altro che fine della storia e nuovo mondo ricco di pace e di spiritualità: siamo tornati a Sun Tzu e Von Clausewitz.

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