L’emergenza migranti sta per aggravarsi a causa della guerra in Somalia. Stavolta a lanciare l’allarme è Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati che ha riportato i dati tra il 1° gennaio e il 10 maggio di quest’anno. Oltre 408mila persone sono state costrette a scappare per le inondazioni dei loro villaggi, altre 312mila per la siccità. La maggior parte di questi sfollati è scappata nelle regioni di Hiraan e Gedo, quindi nella zona centrale e meridionale della Somalia. «Queste sono cifre allarmanti», avverte Mohamed Abdi, direttore nazionale del NRC per la Somalia, come riportato da Il Tempo. «Alcune tra le persone più vulnerabili sono state costrette ad abbandonare il poco che avevano per andare verso l’ignoto. Con 1 milione di sfollati, in meno di cinque mesi, possiamo solo temere il peggio nei prossimi mesi, poiché in Somalia, ci sono tutti gli ingredienti per una catastrofe pronta a esplodere», aggiunge.



Dai dati Unhcr si evince anche che oltre 3,8 milioni di persone sono sfollate interne in Somalia, «aggravando così una situazione umanitaria già disastrosa in cui circa 6,7 milioni di persone stanno lottando per soddisfare il proprio fabbisogno alimentare». Secondo molti analisti, il rischio è che parte di loro possano cercare di sfruttare la rotta del Mediterraneo per arrivare in Europa. Infatti, la maggior parte dei migranti che lasciano la Somalia si dirigono verso Etiopia e Kenya, finendo in campi di rifugiati dove restano anche anni. Per questo negli ultimi anni è cresciuta la percentuale di coloro che si dirigono in Yemen e negli Emirati Arabi Uniti, «affrontando la pericolosa traversata del Mar Rosso». Altri potrebbero tentare di raggiungere il Nordafrica, passare dalla Libia sperando di arrivare in Italia.



TAJANI “INCREMENTO DELLA PRESSIONE MIGRATORIA”

La situazione è preoccupante per il governo italiano. Infatti, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che «c’è un incremento della pressione migratoria perché c’è una contingenza negativa, abbiamo visto il Sudan o l’Africa Subsahariana, la Tunisia la Libia l’Afghanistan, c’è una pressione di milioni di persone che si spostano verso il centro dell’Europa». Quindi, ha ribadito che l’Italia non può affrontare un’emergenza sempre più globale da sola. «È una questione internazionale, per questo abbiamo detto che serve l’intervento dell’Europa ma mi auguro che anche l’azione delle Nazioni Unite possa essere determinante, perché poi bisogna non solo affrontare l’emergenza ma impedire che le emergenze aumentino». Il dialogo con l’Unione europea è aperto anche sui migranti. Da una parte ci sono i Paesi del Mediterraneo che chiedono una gestione comune di flussi e arrivi, dall’altra parte ci sono quelli del Nord Europa che ribadiscono la necessità di identificare i migranti sbarcati per frenare i movimenti secondari, cioè gli spostamenti di immigranti da uno Stato all’altro. Questa la doppia trattativa per provare a sbloccare la riforma del diritto d’asilo che manderà in soffitta il regolamento di Dublino.



LA TRATTATIVA PER LA RIFOMA DEL DIRITTO D’ASILO

Si fa così strada l’ipotesi di fissare quote nazionali, secondo criteri oggettivi, che riflettano l’effettiva capacità di accoglienza di uno Stato Ue. L’idea è di una soglia dinamica, affiancata ad un tetto annuale, superata la quale va attivata la solidarietà obbligatoria Ue, richiedendo il ricollocamento dei migranti o il versamento di contributi finanziari ai Paesi di primo arrivo. La proposta della presidenza svedese, spiegano fonti diplomatiche citate dal Messaggero, sarebbe caratterizzata da un’apertura verso i Paesi del Mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia, Malta e Cipro, riuniti nel club dei “Med5”), con il riconoscimento delle capacità ricettive e l’introduzione della flessibilità nelle procedure alla frontiera, oltre che per il principio secondo cui chi identifica dopo l’arrivo e respinge le domande di asilo non può poi più essere ritenuto responsabile di eventuali movimenti secondari. Il testo che aprirà la trattativa andrà comunque valutato nel suo complesso, infatti l’Italia ha già avvertito che l’Europa non può pensare di decidere a maggioranza senza tener conto delle posizioni dei Paesi più coinvolti dagli sbarchi di migranti.