Agnieszka Wykowska è tra le 50 donne selezionate da Women in Robotics. Come le sue 49 colleghe, ha dato uno straordinario contribuito alla conoscenza legata al mondo della robotica applicata alla cura dello spettro autistico. Agnieszka, che insegna psicologia ingegneristica in Svezia e a Manchester, è responsabile del team Social Cognition in Human-Robot Interaction dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Qui lavora su un robot alto 60 centimetri che interagisce già con una quarantina di piccoli pazienti. A Il Messaggero, racconta: “Abbiamo appena pubblicato uno studio sulla rivista Autism Research in cui mettiamo in evidenza l’efficacia di un robot umanoide in un ambiente clinico. È la prima volta al mondo che viene dimostrato, utilizzando il robot iCub di IIT dentro un percorso di riabilitazione al Centro Boggiano Pico”.



Ma cosa ha di speciale il robot dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova? “L’unicità del nostro approccio riguarda l’uso di un protocollo di allenamento di meccanismi molto specifici del cervello, fondamentali per le interazioni sociali. Attraverso l’allenamento ripetitivo osserviamo l’effetto a catena sulle abilità socio-cognitive dei bambini”. Nella pratica “per una decina di minuti, alla presenza di un terapeuta, il bambino col robot viene impegnato in una sorta di gioco che serve ad allenare la prospettiva visuo-spaziale o l’attenzione congiunta. Vale a dire quel meccanismo che permette di capire la prospettiva di un’altra persona. Per un bimbo autistico non è così semplice ed è fondamentale aiutarlo poiché gli consente un corretto comportamento nei contesti sociali”.



Robot aiutano i piccoli pazienti autistici: “Per migliorare le abilità sociali…”

L’uso dei robot per i bambini affetti da disturbi dello spettro autistico ha uno scopo ben preciso: “Speriamo che la mappatura consenta ai bambini con diagnosi di autismo di migliorare le loro abilità sociali nella vita di tutti i giorni. Gli effetti a lungo termine devono ancora essere testati” spiega Agnieszka Wykowska a Il Messaggero. “Per ora, abbiamo appena fatto i primi passi ma siamo molto soddisfatti”. L’obiettivo degli scienziati è quello di allenare anche l’empatia dei bimbi: “Noi speriamo che, in modo simile alla formazione della prospettiva visuo-spaziale o dell’attenzione congiunta che abbiamo già sviluppato negli attuali protocolli, potremo sviluppare presto anche percorsi per allenare l’empatia“.



I piccoli pazienti autistici hanno una tendenza quasi naturale a interagisce con i robot umanoidi che “sono una versione “semplificata” e pertanto gli individui con autismo in genere riescono a sentirsi maggiormente incoraggiati ad interagire. Per loro è meno impegnativo. I robot avendo un comportamento ripetitivo e prevedibile posseggono un requisito importante. Chi soffre di autismo teme, infatti, la variabilità del comportamento umano”. Lo scopo ultimo del progetto non è certo quello di sostituire i terapeuti, anzi: “Miriamo semmai a progettare robot che assistano i terapeuti: il contatto umano, infatti, resta essenziale” conclude la scienziata.