Ricordate cosa avevo scritto nell’ultimo articolo? Avevo scritto che basarsi sul dato della disoccupazione (stabile) per affermare che non siamo in recessione era una truffa (oltre ad essere una novità), perché tale dato notoriamente risponde con maggiore ritardo rispetto agli altri.
L’ultimo valore uscito è pari a un tasso di disoccupazione Usa del 3,7%, in aumento rispetto al precedente 3,5%. Ebbene, ora anche quel dato inizia a mostrare cenni di cedimento, dando ulteriore conferma a ciò che ormai sanno pure i sassi: dopo due letture negative del Pil Usa, siamo in recessione “tecnica”. Insomma, le cose vanno male davvero e d’ora in avanti si faranno serie.
Ma non c’è bisogno dei dati Usa per saperlo: anche numerose dichiarazioni da tanti casi italiani mostrano una situazione ormai completamente deteriorata. Il centro studi della Cgia di Mestre ha dichiarato che sono circa 90mila le aziende che rischiano la chiusura per l’impossibilità di sostenere i costi di produzione, a causa degli aumenti delle bollette (per non parlare delle altre materie prime). Nelle prossime settimane saranno costrette alla chiusura migliaia di piccole e medie imprese che, a causa della tipologia produttiva, consumano molta energia. Molti fornai e pasticcieri chiuderanno e alcuni lo hanno già fatto.
Questa è la caratteristica di questa crisi: mancherà il pane non perché manchi la farina o perché non c’è chi ha voglia di alzarsi alle due di notte per lavorare, ma perché lavorare non sarà remunerativo abbastanza per pagare le spese.
Questo è il disastro a cui ci ha consegnato il governo Draghi. Questo è il disastro a cui ci hanno consegnato tutti i partiti che lo hanno sostenuto nella sua folle decisione di inviare armi in Ucraina, dopo aver ignorato per anni l’eccidio di russi nella regione del Donbass. Due pesi e due misure che hanno reso la politica estera europea una barzelletta che non fa ridere nessuno. Altrimenti come si spiega l’inazione europea di fronte all’invasione dell’esercito turco in Siria, dove sta compiendo una sorta di pulizia etnica del popolo curdo? Non ne sapevate nulla? Appunto.
Il disastro attuale non è iniziato quando l’ex presidente Draghi ci è venuto a raccontare che dovevamo spegnere i condizionatori per avere la pace, mentendo, perché non ci ha detto che avremmo dovuto spegnere pure il frigorifero (ormai vuoto), né ci ha detto che avremmo dovuto perdere il posto di lavoro per la chiusura dell’azienda non più in grado di pagare bollette esorbitanti.
Il disastro è iniziato con la stampa forsennata di moneta operata dalle banche centrali: all’inizio per fronteggiare la crisi finanziaria del 2000-2003, poi hanno continuato fino allo scoppio della crisi del 2007 (ricordate i mutui subprime?), poi hanno fatto lo stesso con lo scoppio dei titoli spazzatura delle banche (2008), poi lo stesso per la crisi del debito degli Stati (2010). Tutto per non mettere le mani sulle cause originarie del problema, cioè togliere il potere a chi aveva causato la crisi, perché l’ideologia del libero mercato era ormai diventato l’unico dogma dominante rispetto al quale tutti si dovevano inchinare.
Ma la stampa di moneta senza freni crea un disastro nascosto, come una bomba a orologeria di cui nessuno sente il ticchettio. Lo diceva 400 anni fa Niccolò Copernico: “Benché vi siano innumerevoli pestilenze per le quali i regni dei principati e delle repubbliche tendono a decadere, tuttavia queste quattro (a mio giudizio) sono le più potenti: la discordia, la mortalità, l’aridità della terra e l’economicità del denaro. I primi tre sono così evidenti che nessuno le può negare, ma il quarto, per quanto riguarda il denaro, è considerato da pochi e solo dai più sapienti, perché non avviene tutto in una volta, ma gradualmente, in modo nascosto, è la ragione per cui si rovesciano le repubbliche” (Monetae cudendae ratio, 1526).
Gradualmente, in modo nascosto, fino al momento in cui il problema esplode, sotto forma di inflazione, quell’inflazione che le banche centrali hanno negato per due lunghi anni, fino ad ammettere che “hanno sbagliato”. E nessuno paga, tutti rimangono al loro posto di potere.
Il cuore del problema è l’ideologia del libero mercato portato alle estreme autodistruttive conseguenze, una sorta di divinità alla quale nessuno si può opporre, pena la scomunica con l’esclusione dal mercato internazionale, oltre al disprezzo concertato dei media, ormai al soldo degli interessi dell’alta finanza. Basta fare mente locale e vedere cosa è successo in questi ultimi anni a qualsiasi politico abbia avuto il temporaneo favore degli elettori italiani. Non deve comandare il popolo, devono comandare gli interessi dell’alta finanza: questo è il dogma oggi imperante, il dogma da rovesciare.
Il rimedio è semplice, tanto semplice quanto indicibile. Occorre stampare moneta, ma non per difendere la finanza o le banche, ma per alzare gli stipendi e le pensioni e permettere ai cittadini di pagare bollette esorbitanti e vivere dignitosamente. Occorre una robusta inflazione che metta una pesante palla al piede alla finanza e permetta agli Stati di avere moneta (per pagare gli aumenti degli stipendi) senza indebitarsi, quindi occorre che gli Stati si stampino la propria moneta, che avrà valore perché la loro economia è capace di produrre beni e servizi di qualità. Gli italiani lo fanno da decenni ed è proprio questo che ha reso celebre nel mondo il Made in Italy e ha tenuto in piedi la nostra bilancia commerciale, positiva negli ultimi trent’anni nonostante le varie crisi.
Siamo al paradosso per cui il senso morale di tanti italiani è diventato un problema in questa guerra contro l’ideologia del libero mercato, perché i panettieri (per fare un esempio concreto) si vergognano di adeguare i prezzi del pane ai costi che devono sopportare e quindi invece di vendere il pane a 10 (o più) euro al chilo, preferiscono chiudere, perché ad alzare tanto i prezzi si sentono dei ladri. Ma le aziende che vendono energia e gas non si sentono dei ladri a moltiplicare per dieci le fatture delle bollette e fanno profitti stellari, come dimostrano i recenti risultati di Eni.
Quello che occorre è rimanere sul mercato e rialzare i prezzi in modo da pagare le spese, pagare un aumento di stipendio ai dipendenti e avere un adeguato guadagno su una moneta che oggettivamente sta perdendo il suo valore.
A sostegno di quello che sto dicendo vi mostro il grafico dell’euro (rispetto al dollaro) dell’ultimo anno.
Tutto chiaro? Un anno fa non c’era la guerra in Ucraina e l’inflazione era già iniziata, causata dal problema strutturale della debolezza dell’euro, cioè della stampa eccessiva di moneta praticata da due decenni.
Volete avere uno sguardo più ampio, di più lungo periodo? Ecco il grafico dallo scoppio della crisi nel 2007.
Vi ho mostrato il grafico in dollari, perché quella è la moneta con la quale finora abbiamo pagato gas e petrolio.
“La moneta deve servire, non governare!” (Evangelii Gaudium), questo è il cuore del problema degli ultimi vent’anni.
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