Una notte a New York (2023), con alla sua prima regia Christy Hall, è un film discreto se consideriamo le pellicole proiettate nei cinema nel periodo festivo. Partiamo dal titolo, questo in italiano è un obbrobrio, l’originale è Daddio, la cui traduzione è papà, e poi capirete il motivo.
Alcune considerazioni tecniche. Il cast è composto da pochi attori: Sean Penn (il tassista Clark); Dakota Johnson la Girlie (non viene menzionato mai il suo nome); l’addetto ai taxi all’aeroporto JFK, una bimba in auto e due vigili del fuoco, tutti non parlanti. Diversamente dallo straordinario Locke (2013) con Tom Hardy girato in tempo reale in otto giorni con micro telecamere, il film non è stato realizzato in movimento, il taxi nella realtà era in uno studio su rulli con degli schermi a led su tutti i lati che proiettavano gli esterni girati in precedenza. Non c’era nessun greenscreen (i teli verdi) e perciò nessuna post-produzione digitale utilizzata in questi casi.
La Girlie torna da una vacanza in Oklahoma, esce dal JFK con inquadrati il trolley, gli anfibi e a figura intera da dietro; Clark non lo vediamo; lei sale in taxi e le si vede il volto. L’auto gialla parte e come se fosse un palleggio di riscaldamento tennistico in cui pian piano ci si muove verso rete scopriamo (non subito) gli occhi di Clark che scrutano la giovane dallo specchietto retrovisore con lei frontale e in primo piano. Un avvicinamento fatto di sguardi intensi per approssimare i due protagonisti.
Clark è caciarone e diretto, innesca subito il discorso, lei giustamente è sulle sue, ma si scioglie quasi subito. Forse troppo facilmente? Ha un nodo alla gola, non è serena e forse le modalità semplici e immediate dell’uomo la invogliano ad aprirsi. Intravvede in lei una persona intelligente, non banale, bella: Tu sei umana.
Lei chatta al cellulare con l’amante (con ormoni a tremila), un uomo non giovane, sposato con tre figli, ma è turbata.
– È da vent’anni che guido e ormai conosco le persone.
E le centra che l’uomo non le ha mai detto Ti amo, che in fondo è un furbone in cerca di caramelle (espressione di Clark), indovinando che lei chiama l’amante Papino (ecco il senso del titolo originale del film) dato i vent’anni e passa di differenza. Un’infanzia difficile, con la madre che l’aveva abbandonata quando aveva pochi anni; il padre non l’aveva mai neppure abbracciata e all’età di sei anni la sorellastra se l’era portata a vivere con il suo ragazzo.
E nel taxi di Una notte a New York anche Clark si apre: un matrimonio finito da anni, altre donne per svago, rimpianti, errori, un po’ disilluso, ma realista, ed esce con un grido personale: Le persone si sentono sole. E poi: Cercano amore.
Chiaro che è riferito a se stesso e di riflesso anche a lei.
Clark non giudica la Girlie, non ha risposte prestampate, la invoglia a cercare il meglio di sé.
Il finale è una botta e lascia campo aperto. Lei racconta che prima di partire per l’Oklahoma aveva scoperto di essere incinta, non aveva detto nulla all’amante (per paura di perderlo?), voleva abortire, ma giunta in Oklahoma aveva perso il bambino, una liberazione afferma, e ora era tornata. Cosa avrebbe fatto?
Clark l’abbraccia e le augura il meglio e il film termina.
Se ripensiamo bene a ciò che racconta della sua vita (son giudizi) il grezzo autista, e alle due frasi che ho citato poc’anzi, la via è chiara, ma il film si ferma qua. La libertà è della Girle. Come per ciascuno di noi.
Nulla da dire su Sean Penn e Dakota Johnson, anzi, se sull’attore con due Oscar (nel 2004 con Mistic River e Milk nel 2009) non avevo dubbi preventivi, la bionda volutamente finta Johnson è stata veramente ottima, la mimica facciale e gli sguardi dicono tutto. Quasi un’ora e mezza di dialoghi, ma il film non stanca e non annoia.
Il soggetto di Una notte a New York era nato per il teatro, ma è stato fortemente voluto sul grande schermo dalla regista e dall’attrice che è anche uno dei produttori del film. Aspetto di vederlo in lingua originale per stupirmi spero ancor di più delle interpretazioni degli attori.
Per i paolotti: forse ci son un po’ troppe parolacce, ma la realtà americana è ben peggiore del film.
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