Una proteina potrebbe rivelare il rischio di cancro e infarto: a spiegarlo è una ricerca congiunta condotta dall’Università La Sapienza di Roma con Irccs Neuromed di Pozzilli e l’Università Lum di Napoli. Ci sarebbe, secondo gli studiosi, una correlazione tra ipoambuminemia, ossia i bassi livelli di albumina nel sangue, e un aumento di mortalità a causa di malattie vascolari e cancro. La ricerca è stata realizzata in base ai dati raccolti nel corso di uno studio epidemiologico Moli-sani su 25.000 residenti in Molise.
Lo studio, poi pubblicato sulla rivista scientifica eClinical Medicine-Lancet, ha analizzato in totale 18.000 persone: tra queste 3.299 soggetti di età pari o superiore a 65 anni. Ne è emerso che livelli di albumina inferiori a 35 g/L erano collegati a un rischio maggiore di morte negli anziani. La correlazione persisteva anche dopo l’esclusione di fattori come malattie epatiche o renali, spiega Adnkronos. L’analisi dell’albumina, dunque, può essere effettuata ad un costo basso come test di primo livello. Dallo studio è emerso proprio un valore di riferimento di 35 g/L che può aiutare i medici.
Correlazione tra la carenza l’albumina e rischio di cancro e infarto
La rettrice dell’università La Sapienza di Roma, commentando la ricerca che ha scoperto la correlazione tra la proteina dell’albumina e il rischio di cancro e infarto, ha ribadito: “Questo studio (…) ha anche un importante valore sociale attribuibile alle possibili ricadute nell’ambito della prevenzione”. Secondo Francesco Violi, professore emerito de La Sapienza oltre che ideatore della ricerca, la diminuzione dell’albumina accentua lo stato infiammatorio sistemico e dunque facilita l’attività di cellule già disposte a trombosi o cancerogenesi.
“È importante, in questo contesto, sottolineare che cancro e infarto cardiaco condividono una base comune proprio nella presenza di uno stato infiammatorio cronico, e che pazienti a rischio di malattie cardiovascolari, come i diabetici e gli obesi, sono anche a rischio di cancro” ha concluso il prof Violi. Come spiega l’Adnkronos, inoltre, ci sarebbe anche un fattore socioculturale da tenere in considerazione: l’ipoalbuminemia, infatti, è correlata a un livello socioeconomico più basso. Questo perché chi non ha le adeguate disponibilità economiche, tende a consumare proteine non nobili.