Vi siete mai chiesti perché i social network attirano centinaia di milioni di persone? Perché la gente è sola. Cerca amicizie, disperatamente, anche solo virtuali. I più fortunati hanno anche trovato moglie o marito tramite FB, ma la maggior parte si accontenta di intrattenere rapporti senza mai incontrarsi realmente nella vita. Forse è meglio, perché il modo con cui ci si presenta nei social non corrisponde quasi mai alla realtà di come veramente siamo. Ma i social sono l’ultima frontiera della solitudine immane che avvolge la nostra società. Non è un fenomeno nuovo naturalmente, pensiamo alle case dormitorio delle periferie delle megalopoli, dove la gente esce quando è ancora buio per andare a lavorare e torna ancora al buio della sera, senza incontrare mai il proprio vicino di casa. Abitazioni alveari, dove non ci si conosce neanche con il vicino. Il fenomeno è aumentato a dismisura negli ultimi anni e non solo nelle grandi concentrazioni di case popolari. I ritmi ossessivi, le giornate lavorative che durano anche dieci e dodici ore, la competizione asfissiante sui luoghi di lavoro dove conti solo se produci al massimo livello e non ti fidi di nessuno non riuscendo a diventarne amico, hanno generato solitudine anche tra chi fa carriera, gode di stipendi elevati, fa una vita più che dignitosa. Con un video fatto come uno sfogo personale l’inglese Mark Gaisford, amministratore delegato di una azienda di Londra dunque persona che ha a che fare ogni giorno con dozzine di persone, ha rapporti, denuncia la sua solitudine: “A 52 anni sono fortunato ad avere molti colleghi ma con loro non faccio le cose che gli amici fanno tra loro”. Aggiunge: “C’è un numero sconvolgente di persone, soprattutto uomini, in tutto il Regno Unito, che hanno pochissimi amici, se non alcuno, con i quali possono parlare di cose serie”. E’ così. Succede anche qui da noi. Non è solo la vita frenetica votata al massimo dell’efficienza lavorativa, è che la gente ha anche perso fiducia nel prossimo. Non ci si fida più. E poi c’è l’apatia: dopo una giornata massacrante, chi ha voglia di uscire la sera?



SOLITUDE E LONELINESS

Abbiamo tanti oggetti che catalizzano la nostra televisione: serie infinite televisive che ci acchiappano davanti allo schermo, video giochi, smartphone. chat virtuali. 221 volte al giorno: secondo uno studio britannico, questo è il numero di volte che un utente medio controlla il suo smartphone nel corso della giornata. E infine il crollo delle famiglie, unità esistenziali che creavano spazi comunitari, amici dei figli, genitori che condividevano le urgenze, un weekend passato insieme. Ma le famiglie stanno sparendo. E’ il mondo dei single ormai. Avete notato nei supermercati quanta sempre più gente fa la spesa con il cestino da single, invece che con il carrello strapieno di cose per tutta la famiglia? Ma soprattutto Gaisford chiede “amicizie vere”, gente con cui si possa “parlare di cose serie”. Forse mai come in questi ultimi dieci anni si è parlato di comunicazione, di scambi, di interattività, e forse mai come a partire dalla seconda metà del XX secolo si è tanto sentito parlare anche di solitudine e di isolamento. L’angoscia dell’uomo separato e solo, più separato e più solo a causa dei trasferimenti, dei traslochi, degli sradicamenti, della crisi della famiglia e delle piccole comunità alle quali apparteneva un tempo, affiora un po’ dappertutto. Nello stesso momento assistiamo ad una ricerca insaziabile di indipendenza, spesso fonte di solitudine. Solitudine in molti casi mascherata da unioni o associazioni, peraltro generalmente di breve durata, nelle quali lo stare insieme dà calore senza creare obblighi troppo pesanti, tanto è vero che il sentimento di solitudine può percepirlo anche chi apparentemente solo non sembra. Come diceva una bellissima mostra all’ultimo Meeting di Rimini, in inglese esistono due modi per dire la parola solitudine. Solitude e loneliness. La prima esprime la volontà consapevole. Lo psicoterapeuta Romina Alfano dice che “il solitario maturo accetta la separatezza, valorizza l’unicità e preziosità di ognuno e pone dunque le basi per una feconda relazionalità”. “Loneliness” è invece la solitudine dell’emarginato, per scelta altrui, non propria. Il vero “solo”.  Solitudini sempre più depressive. Una solitudine che si avverte anche quando comunichiamo: raramente comunichiamo per trasmettere davvero qualcosa all’altro. Stiamo parlando essenzialmente sempre di noi stessi, per metafore, in una narrazione che fuoriesce dai social network e finisce nel vivere quotidiano.



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