Tra il 1994 e il 2006 l’Italia visse l’incubo Unabomber. Il caso è stato ricordato nel corso della puntata di TG2 Dossier. Tutto ebbe inizio il 21 agosto del 1994 a Sacile, provincia di Pordenone, durante una affollatissima sagra, con il primo attentato di Unabomber. A dargli la caccia per 12 lunghissimi anni furono i migliori investigatori sul campo e ben quattro procure. L’Italia, in particolare tra Friuli e Veneto, era letteralmente sotto choc ed in preda al terrore su subire un attentato da un momento ad un altro. Furono messi a segno oltre trenta attentati con decine di feriti sempre nelle medesime modalità. Il 1996 fu l’anno delle spiagge: l’episodio che gettò nel panico i villeggianti e gli operatori turistici avvenne a Lignano Sabbiadoro quando un turista raccolse un oggetto simile ad un tubo bomba che lo ferì gravemente.



Nel 2000 avvenne un cambio di strategia: Unabomber iniziò ad utilizzare ordigni più sofisticati nascosti in oggetti comuni, dal cero votivo al tubetto di pomodoro passando per un ovetto di cioccolata. L’episodio più grave si consumò nel 2003 a Fagarè, provincia di Treviso, quando una bambina di 9 anni, Francesca, rimase gravemente ferita dopo aver raccolto un evidenziatore esplosivo.



UNABOMBER, ELVO ZORNITTA: IL CASO SENZA UN COLPEVOLE

A commentare il caso Unabomber, è stato l’ex procuratore di Venezia, Vittorio Borraccetti, che ai microfoni di TG2 Dossier ha ammesso: “Non abbiamo mai scoperto le menti decisive che ci consentissero di attribuire con buona sicurezza la responsabilità ad una persona individuata”. La svolta nel 2004, quando a finire sotto indagine fu un ingegnere friulano con un passato nel settore militare, Elvo Zornitta. Proprio le sue grandi competenze nel campo lo portarono ad essere al centro dell’indagine. “Purtroppo sì, però la mia vita è sempre stata quella progettativa, di realizzare le cose non di distruggerle”. Tra gli oggetti sospetti, un paio di forbici che risultano aver tagliato il lamierino di un ordigno inesploso. Non si tratta però della prova regina che sarebbe stata contraffatta dal momento che ad usare le forbici di Zornitta sarebbe stato un perito. “Era una persona di cui avevo considerazione e stima e di cui mi fidavo”, ha commentato Borraccetti, “quindi è quello che mi rimane come dispiacere per quello che è accaduto”. L’inchiesta, ha aggiunto, fu molto difficile e si è definitivamente chiusa con la falsificazione della prova.



Ma perché proprio Elvio Zornitta? Lui replica: “Perché dovevano cercare una persona che non poteva essere tanto scema da avergli presi in giro per 15 anni e contemporaneamente non essere tanto potente da poter mettere in campo un’azione difensiva efficace”. L’uomo uscì completamente dall’indagine ma non dalla storia: furono scritte almeno 2000 pagine di articoli sul suo conto: “Voi, i mass media, avete completamente alterato la vita, voi e chi ha fornito a voi le informazioni”. Restano le ferite nell’animo dell’indagato innocente e sul corpo delle vittime e resta ancora aperto un giallo senza risposte. “Peccato non averlo preso”, ha chiosato Borraccetti, “c’è da dire che nel frattempo l’autore o gli autori di questi attentati non hanno più replicato le loro imprese”. Perché? Zornitta non sa rispondere “quello che è certo è che sia uscito di scena”, dice.