Periti a caccia di tracce che possano dare un volto a Unabomber, il misterioso bombarolo che si cela dietro gli attentati con ordigni esplosivi che hanno seminato il terrore nel Nord Est Italia tra il 1994 e il 2006. Oggi il gip del Tribunale di Trieste, Luigi Dainotti, ha affidato l’incarico formale ai due esperti che avranno il compito di analizzare 10 reperti con le nuove tecnologie a disposizione per verificare se da questi è possibile estrarre il Dna del presunto attentatore. Si tratta della prima fase concreta nell’ambito della riapertura del caso, uno dei più inquietanti e nebulosi della storia italiana, arrivata a seguito dell’istanza presentata dal giornalista Marco Maisano e da due delle vittime di Unabomber, Francesca Girardi e Greta Momesso.
Gli accertamenti, come anticipato nelle scorse settimane, avverranno nella formula dell’incidente probatorio e riguardano oggetti sequestrati all’epoca su cui interverranno le attuali e più sofisticate tecniche d’indagine per provare a individuare l’autore nonostante tutto il tempo fin qui trascorso e le piste già vagliate (celebre quella dell’ingegnere Elvo Zornitta, poi rivelatasi sbagliata). 11 le persone iscritte nel registro degli indagati nell’attuale fase (di queste, 10 con posizione già archiviata, compreso Zornitta, e un nuovo nome), come atto dovuto e a garanzia delle stesse, che potranno partecipare con propri consulenti. I periti del giudice che si occuperanno delle nuove analisi sui 10 reperti ritenuti di interesse sono Elena Pilli, che si occupa di Antropologia molecolare all’Università di Firenze, e Giampietro Lago, Comandante del Ris dei Carabinieri. Avranno 90 giorni per condurre gli esami, il cui risultato sarà discusso nella prossima udienza, riporta Ansa, fissata per il 9 ottobre.
Chi è Unabomber? 11 indagati, e c’è chi teme un nuovo caso Elvo Zornitta
17 anni dopo l’ultimo degli attentati attribuiti al misterioso Unabomber, la verità non è stata ancora stabilita. La speranza, filo conduttore della recente riapertura del cold case, è che le tecnologie attuali, certamente più avanzate di quelle impiegate all’epoca dei fatti, possano contribuire a dare un nome e un volto al regista di uno dei capitoli più spaventosi e intricati delle cronache italiane. Non è ancora chiaro se i 10 reperti oggetto della nuova inchiesta potranno consegnare una svolta alla storia, e per avere una risposta occorrerà attendere l’esito dell’incidente probatorio con cui si tenterà di cristallizzare nuove prove. Anzitutto una traccia biologica che possa, in modo decisivo, fornire un elemento capace di risolvere il giallo. I due periti incaricati dal gip di Trieste, Pilli e Lago, dovranno rispondere proprio al seguente quesito: è possibile estrarre un Dna da quei reperti?
Oggi ci sono 11 indagati e uno di loro, Fausto Muccin, non ha nascosto la sua paura di finire ingiustamente nel tritacarne dei sospetti, come quelli che allora si condensarono intorno all’ingegnere Elvo Zornitta. Anche quest’ultimo iscritto nell’attuale fase, dopo l’odissea vissuta anni fa che ancora oggi ricorda in ogni suo doloroso riflesso. Proprio Zornitta, ai microfoni di Pino Rinaldi, aveva ricostruito il dramma personale risalente agli anni più roventi della caccia all’uomo, finora mai risolta. “Non sono io Unabomber – aveva ribadito davanti alle telecamere della Rai –, sono stato accusato di 34 attentati. Sono diventato l’indagato numero uno esattamente a fine agosto 2006, quando una troupe televisiva mi ha fermato fuori dalla chiesa dicendomi che era stata trovata la prova contro di me. Nel giro di poco tempo ho trovato la casa circondata di giornalisti, riprese televisive e una continua successione di domande tanto che ho dovuto letteralmente barricarmi in casa (…). La prova regina fu la famosa forbice che mi era stata sequestrata“. Le forbici repertate nelle disponibilità di Zornitta dagli inquirenti sarebbero state ritenute compatibili con un taglio su un lamierino isolato sulla scena di uno degli attentati. Ma fu l’incipit di una storia dall’epilogo incredibile: “Peccato che a tagliare quel lamierino con le forbici che mi erano state sequestrate era stato un poliziotto che faceva le indagini“. Nel 2009, la Procura di Trieste aveva archiviato la posizione di Zornitta, incriminato l’agente che avrebbe falsificato la prova.