Una candela votiva in una chiesa, un tubetto di maionese o un vasetto di crema alla nocciola al supermercato: è in questi banali ingredienti della quotidianità di milioni di italiani che “Unabomber”, criminale ancora oggi senza volto, ha seminato sangue e terrore in una scia di attacchi tragici che hanno segnato la storia del Paese tra il 1994 e il 2006. Una storia così dura ed enigmatica da meritare confronti con quella dell’Unabomber americano da cui le cronache italiane presero in prestito il soprannome, con una grande differenza su tutte: negli Stati Uniti, l’autore ha un nome ed è stato assicurato alla giustizia. Si chiama Theodore John Kaczynski, noto come Ted e titolare di una parabola di orrori che lo avrebbe visto condannato all’ergastolo senza possibilità di scampo. 3 morti e 23 feriti il bilancio dei suoi crimini commessi oltreoceano, assassino spietato dietro i pacchi postali esplosivi inviati a decine di comuni cittadini durante un periodo lungo quasi 20 anni (tra il 1978 e il 1996).
In Italia, invece, Unabomber non ha identità. Non si sa chi si celi dietro gli attentati e a nulla sono valsi gli sforzi di intere procure per arrivare alla cattura. Ancora oggi, non è chiaro se l’attività ascritta a Unabomber sia finita per morte o sia semplicemente cessata senza un perché. Unabomber avrebbe agito per anni nelle regioni del Nord Est del Paese utilizzando un modus operandi che avrebbe complicato non solo le indagini, ma anche la percezione di insicurezza della popolazione: ordigni rudimentali nascosti in oggetti di uso quotidiano hanno provocato gravi ferimenti e rischiato di uccidere diverse persone. In un film omonimo in onda su Rai2, il 13 ottobre alle 21.20, il racconto di quegli eventi che non smettono di far discutere e che hanno fatto tremare il Triveneto e non solo.
Unabomber, gli attentati con ordigni nascosti per colpire vittime a caso
Decine di persone ferite tra il 1994 e il 2006, vittime a caso colpite in luoghi diversi – dalla chiesa alla spiaggia, passando per il supermercato – per mano di uno stesso occulto regista: Unabomber. Tanti sono gli anni in cui il misterioso criminale ha insanguinato e terrorizzato il Nord Est, con l’uso di ordigni rudimentali nascosti tra gli oggetti di uso più comune quasi a voler sottolineare con le bombe improvvisate che sì, la banalità del male esiste e il senso di insicurezza può arrivare, come una piovra, fin dentro le case aggredendo le persone nel luogo in cui si dovrebbe respirare aria di certezze e protezione.
Il primo attentato ricondotto a Unabomber risale al 1994. Il 21 agosto di quell’anno, a Sacile, provincia di Pordenone, diverse persone sono state ferite da un ordigno artigianale durante la “Sagra dei Osei“. Sarebbe stata la prima di una serie di azioni rimaste senza firma, una scia di esplosioni che hanno tenuto sotto scacco gli inquirenti per anni senza trovare soluzione. Nel lasso di tempo tra il primo e l’ultimo attacco, si sarebbe registrata una sorta di escalation con la preparazione di bombe sempre più sofisticate. Fino al 2006, bambini e adulti sarebbero rimasti feriti dagli ordigni esplosivi nascosti negli oggetti più impensabili, dai contenitori di generi alimentari ai pennarelli, dalle confezioni di bolle di sapone alle candele votive.
La pista sbagliata, Elvo Zornitta accusato di essere Unabomber
La paura di Unabomber, a fine anni ’90, era ormai psicosi. Nell’alveo delle indagini condotte da ben cinque Procure sarebbe finito un nome poi rivelatosi vittima di una pista sbagliata: Elvo Zornitta. L’uomo, ingegnere incensurato, sarebbe stato catapultato in un vortice di sospetti e attenzioni che lo avrebbe costretto a barricarsi in casa sperando di riuscire a far emergere la sua innocenza. Il racconto di Elvo Zornitta, ai microfoni di Pino Rinaldi, ha ricostruito il dramma personale vissuto durante quella fase della caccia a Unabomber. L’incubo di Zornitta sarebbe durato diversi anni, indagato e sottoposto a un pressing mediatico per cui nessuno gli avrebbe chiesto scusa. “Non sono io Unabomber – ha ribadito Elvo Zornitta davanti alle telecamere Rai –, sono stato accusato di 34 attentati. Sono diventato l’indagato numero uno esattamente a fine agosto 2006, quando una troupe televisiva mi ha fermato fuori dalla chiesa dicendomi che era stata trovata la prova contro di me. Nel giro di poco tempo ho trovato la casa circondata di giornalisti, riprese televisive e una continua successione di domande tanto che ho dovuto letteralmente barricarmi in casa…“.
I sospetti si sarebbero condensati intorno al profilo di Elvo Zornitta anzitutto per la rivelazione di un ex collega dell’epoca in cui lavorava nel settore militare: “Allora avevo acquisito sufficiente esperienza per generare ordigni. La prova regina fu la famosa forbice che mi era stata sequestrata…“. Secondo il racconto di Zornitta, le forbici repertate nelle sue disponibilità dagli inquirenti sarebbero state ritenute compatibili con la traccia lasciata sul taglio di un lamierino isolato nella scena di uno degli attentati. Quello che sarebbe successo dopo, ha raccontato l’uomo, avrebbe assunto i contorni dell’incredibile: “Peccato che a tagliare quel lamierino con le forbici che mi erano state sequestrate era stato un poliziotto che faceva le indagini“. Tra gli elementi allora portati a carico di Zornitta, alcuni gusci di ovetti Kinder, delle penne Bic, dei cavi elettrici e, ha precisato Elvo Zornitta, un “libro che giudicarono sospetto: ‘Psicopatologia della vita quotidiana’ di Freud“. Nel 2009, la Procura di Trieste ha archiviato la sua posizione, ma ancora percepisce il cortocircuito provocato da anni di battaglie per dimostrare la sua innocenza: i sospetti di alcuni, a suo dire, “non sono morti con il mio proscioglimento“. “Il mio incubo – ha concluso Zornitta nell’intervista rilasciata a Pino Rinaldi sul caso Unabomber – è durato dal 2006 al 2014, quando in Cassazione è stato incriminato il poliziotto che ha falsificato la prova“.