“Un uomo solo al comando”: un progetto, o un sogno, attribuito prima a Matteo Salvini e poi a Giuseppe Conte, apparentemente senza successo. Un sogno invece realizzato, a quanto pare, dal premier ungherese Viktor Orbán, con la legge appena approvata che gli consente di governare per decreto, sospendendo in pratica i poteri del Parlamento. La legge è passata con 138 voti favorevoli e 53 contrari, votata da tutti i membri di Fidesz, il partito del Primo ministro, che ha la maggioranza assoluta in Parlamento. La motivazione portata da Orbán a questo strappo nella democrazia parlamentare è la necessità di combattere seriamente l’insorgenza del coronavirus.



La legge, per quanto si può capire, va però al di là di una sia pur dura emergenza e si configura piuttosto come una vera e propria “legge di guerra”. Evidentemente Orbán e il suo partito hanno preso alla lettera quei commentatori che ormai da tempo equiparano l’attuale pandemia alla guerra. Le opposizioni si erano dichiarate disposte ad accettare tali misure estreme, ma ponendo un limite di tempo, che non è stato accettato dal governo: lo stato di emergenza finirà quando cesserà l’epidemia. Tuttavia, la decisione su questa fine verrà comunque presa da Orbán e ciò ha portato le opposizioni, compreso il partito nazionalista Jobbik, a definire la situazione da “colpo di Stato”. Al che Orbán ha risposto che “le opposizioni stanno dalla parte del virus”.



Ciò che lascia perplessi non è tanto l’estensione dei poteri o il pratico accantonamento del Parlamento, perché discussioni simili, di questi tempi, sono in corso anche in Italia. E altri leader hanno chiesto e ottenuto estesi poteri per affrontare questa pandemia o altre emergenze, ma sempre con un limite temporale. Il ritorno a una situazione normale nel sistema istituzionale ungherese rimane quindi affidata alla volontà di Orbán ed è perciò difficile non considerare questa decisione come molto pericolosa per il sistema democratico dell’Ungheria.

Conseguentemente, è lecita e anche doverosa l’attenzione critica dell’Unione Europea nei confronti della vicenda e dei suoi sviluppi, ma sarebbe da evitare che minacce di espulsione dall’Ue vengano dagli eurocrati di Bruxelles. Costoro dovrebbero ricordare che questa legge è stata votata dalla maggioranza del Parlamento ungherese e che se misure devono essere prese, queste è bene che passino dall’unico organismo eletto dell’Unione, il Parlamento europeo. In questo modo, i rappresentanti di Fidesz, che è attualmente sospeso dal Ppe, potrebbero dar ragione della loro decisione e le eventuali misure potrebbero essere prese su una base più oggettiva.



Orbán e il suo partito sono stati da tempo presi di mira come il vertice dei partiti “sovranisti”, “populisti”, “fascisti” e via dicendo, e questa legge dà materia oggettiva per stigmatizzare le loro posizioni. Inevitabile che ne approfittino gli avversari di sempre, quelli “senza se e senza ma”. Orbán è stato spesso al centro anche del dibattito politico italiano, utilizzato per combattere le posizioni di Salvini durante il precedente governo giallo-verde. Non è un caso che, nel fuoco di fila già iniziato nella sinistra e nei media italiani, l’unica voce in suo favore sia quella del segretario della Lega: “Saluto con rispetto la libera scelta del parlamento ungherese (137 voti a favore e 53 contro), eletto democraticamente dai cittadini”.

A questo punto, è giusto citare anche l’altro Matteo, Renzi, che su Twitter afferma: “Ho il diritto, e il dovere, di dire che dopo quello che ha fatto Orbán oggi l’Unione Europea deve battere un colpo e fargli cambiare idea. O, più semplicemente, cacciare l’Ungheria dall’Unione”. Davvero Renzi pensa sia così facile cacciare qualcuno dall’Unione, o è l’ennesima provocazione a Conte e al suo governo, di cui peraltro è parte?

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