Credit Agricole ieri sera ha comunicato di essere salita al 15,1% di Banco Bpm, dopo aver sottoscritto strumenti finanziari sul 5,2% del capitale; la banca transalpina chiederà inoltre l’autorizzazione per aumentare ulteriormente la sua quota al 19,99%. Credit Agricole ha specificato che questa transazione è coerente con la strategia di “investitore e partner di lungo termine di Bpm”, precisando di non voler lanciare un’offerta sulla banca lombarda.
Bisogna riavvolgere i fili per comprendere come si è arrivati a questa svolta. Tutto inizia con la decisione del ministero dell’Economia di affidare la cessione del suo 15% in Monte Paschi a Bpm; dopo quella decisione Bpm diventa il primo azionista industriale di Mps con una partecipazione diretta e indiretta del 9%, mentre il restante 6% viene comprato da azionisti in qualche modo vicini alla banca lombarda. Da quel momento, per dieci giorni, tutto sembra indirizzarsi, nei tempi dovuti, verso una fusione tra Bpm e Mps che dia vita a un terzo polo italiano con la “benedizione” del Governo. Questo dura fino all’annuncio, due settimane fa, con cui Unicredit comunica di voler lanciare un’Ops sulla banca milanese. È un’offerta che appare subito stonata rispetto alla decisione del Governo su Monte Paschi, e concorrente rispetto alla strategia che l’Esecutivo aveva fatto chiaramente intendere nel momento in cui consegnava a Bpm su un piatto d’argento il 9% di Mps.
Nei giorni successivi si apprende però che il Governo non è coeso. Una parte del Governo evoca il golden power per impedire l’Ops di Unicredit e continuare sulla strada di un terzo polo “del territorio” italiano centrato su Mps e Banco Bpm. Altre voci invece si levano per censurare la minaccia del golden power e ribadire che questa è una faccenda per il “mercato” e l’Europa. Questa seconda posizione legittima l’intervento di Unicredit, che sei mesi fa sembrava avviata verso un’operazione transfrontaliera con Commerzbank. Il tentativo di Unicredit veniva però respinto da un sistema-Paese, quello tedesco, in cui comandano ancora due partiti, Spd e Cdu, che si ritrovano insieme in Europa a sostegno di Ursula von der Leyen. Non è chiaro perché il sistema-Paese tedesco si sia opposto a una fusione “europea”.
Mercoledì Orcel incontrava a Londra gli analisti. È interessante rileggere quanto gli analisti presenti hanno riportato nei report a valle dell’incontro. Orcel, secondo questi resoconti, si aspettava un Governo italiano neutrale e si diceva ottimista sulle interlocuzioni con palazzo Chigi, segnalava le importanti sinergie di costo e di ricavo che si potrebbero creare con l’acquisizione di Bpm, riteneva che ci fosse un punto di incontro con Credit Agricole e che questo potesse concretizzarsi nelle filiali in eccesso, da vendere alla banca francese, dopo l’acquisizione di Bpm. Infine, Orcel ribadiva gli obiettivi di remunerazione degli azionisti. Giovedì, il giorno dopo gli incontri, il titolo Unicredit chiudeva a +5% in cima al listino principale di Milano. È possibile che gli analisti si siano convinti della bontà finanziaria dell’operazione e delle sinergie.
Quanto è accaduto nelle ultime due settimane, con le divisioni dentro il Governo, ha indebolito di molto la possibilità dell’Esecutivo di farsi arbitro esclusivo della partita. Se il disegno del Governo, la fusione Mps-Bpm, naufraga dopo l’Ops di Unicredit, se la minaccia del golden power è inopportuna, se ci devono pensare l’Europa e i mercati, allora non ci possono essere preclusioni. Nel momento stesso in cui si decide che il Governo non può difendere l’idea di una fusione tra Mps e Bpm, anche con il golden power, e che l’offerta di Unicredit verrà, eventualmente, valutata dalle istituzioni europee, allora le porte sono aperte per tutti, tanto più per chi ha già il 10% della banca milanese come Credit Agricole.
La banca francese è diventata così l’arbitro della partita e l’unico attore che possa in qualche modo consentire a Bpm di sfuggire all’Ops di Unicredit. Un accordo con la banca di Orcel per spartirsi Bpm sembra invece tramontato. Per il sistema-Paese italiano questa potrebbe essere l’occasione per evitare un’eccessiva concentrazione e mantenere una banca di “territorio” magari affiancando alla banca francese qualche azionista italiano di peso. L’ipotesi di fusione Mps-Bami si è molto complicata ed è forse fuori tempo massimo; bruciata, probabilmente, dalle diverse vedute all’interno dell’Esecutivo. In ogni caso c’è margine di trattativa e le alternative più probabili diventano due: l’Ops di Unicredit su Bpm o una Bpm quotata con Credit Agricole come azionista rilevante affiancata, magari, da azionisti italiani. Ciò che conta per il sistema-Paese è che fine facciano i risparmi degli italiani e i crediti alle imprese. Su questo non ci sono preclusioni.
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