Se la politica si farà da parte – le prime osservazioni del Governo non appaiono favorevoli – a decidere sarà il mercato e così si saprà se l’Offerta pubblica di scambio (Ops) lanciata da Unicredit sul Banco Bpm è montata su premesse e promesse credibili: se, cioè, l’operazione porterà i vantaggi che l’Amministratore delegato dell’aspirante acquirente, Andrea Orcel, ha messo in evidenza nel documento fatto pervenire all’oggetto del desiderio.



Il quale, per tutta risposta e per bocca del capo azienda Giuseppe Castagna, fa sapere di non essere assolutamente d’accordo con l’iniziativa del collega che si è mosso senza accordo preventivo, quindi con spirito ostile, e offrendo condizioni – una valutazione della presunta preda di circa 10 miliardi – che non tengono conto del suo effettivo valore e soprattutto delle potenzialità di crescita legate al piano industriale 2023/2026.



Che, come punto qualificante, ha in pancia l’acquisizione di Anima e cioè uno dei principali attori del risparmio gestito con prospettive interessanti per gli azionisti e tutti gli altri portatori d’interesse. L’irruzione sulla scena di Unicredit rischia ora di rallentare il processo di acquisto anche se l’intenzione di Castagna è di procedere lungo la strada tracciata alzando le barricate contro l’imprevisto assalto del collega banchiere.

Quest’ultimo è nel frattempo impegnato anche nella campagna di Germania dove sta cercando di impossessarsi di Commerzbank per diventare protagonista assoluto in terra tedesca e secondo gruppo in Europa. Un colpo controverso, secondo gli osservatori, perché il Paese a lungo locomotiva dell’Unione non tira più come una volta. Anzi, appare decisamente rallentato dal doppio peso delle crisi russa (per l’energia) e cinese (per le vendite).



È credibile che una banca fino a qualche anno fa in grande difficoltà possa, pur rivitalizzata da una buona gestione, combattere su due fronti così diversi e così impegnativi? Le perplessità sono molte e si evidenzia il pericolo di una dispersione di forze e di fuoco che potrebbe danneggiare tutti i soggetti in campo. Senza contare che così facendo si potrebbe compromettere la nascita prevista e auspicata del terzo polo bancario nazionale.

Qui la faccenda riguarda la possibile fusione tra Banco Bpm e Monte dei Paschi di Siena che, dopo il salvataggio dello Stato, è tornato a mantenersi in piedi per conto proprio ed è pronto al grande passo delle nozze. Un esito gradito all’Esecutivo che all’emancipazione dell’istituto toscano tiene molto perché funzionale al progetto che l’ha spinto al salvataggio e che quindi ha male reagito all’intromissione non concordata di Orcel.

In tutto questo occorre ancora fare i conti con l’oste perché non è chiaro quale sarà l’impatto di questo o quell’esito in termini di occupazione e di soddisfazione della clientela. Oltre che agli azionisti delle compagini coinvolte, a chi gioverà il risiko che si delinea sul terreno dello scontro? Il sistema Paese, in definitiva, si arricchirà o impoverirà dopo le incursioni e la ridefinizione degli assetti in gioco? A tavolino tutti pretendono di avere le carte migliori.

Certo, un po’ di movimento nella foresta semi pietrificata del credito non può far male. Competizione e concorrenza sono salutari nel rinforzare i muscoli dei contendenti che per sentirsi così vigorosi da sfidarsi in combinazioni varie vuol dire che sono in forma. Il che, comunque, è una buona notizia. Difficile arrestare con atti amministrativi il corso delle cose. Più dadi sono tratti in questa storia. Che vinca il migliore.

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