Secondo alcuni rumour riportati da Reuters ieri pomeriggio, Unicredit avrebbe dato mandato a Lazard e Jp Morgan per una possibile offerta su Commerzbank. Gli investitori hanno mostrato di crederci almeno un po’ dato che il titolo Unicredit, l’acquirente, ieri ha perso il 2% in netta controtendenza, così si dice, rispetto agli altri titoli bancari italiani. Dopo la cessione di una quota di Fineco, che ci dicono non c’entri assolutamente nulla con tutto questo, si aggiunge un altro capitolo di questo piccolo giallo a puntate della primavera 2019 iniziato dai rumour riportati dal Financial Times agli inizi di aprile.
L’ad di Unicredit Mustier ci ha ricordato che la banca, che ha la più alta esposizione ai Btp tra quelle europee, ridurrà i titoli di debito italiano e poi che è una banca europea con sede a Milano. Quando si dice banca “europea” non si capisce se è europea in quanto italiana o di Milano oppure se è europea nel dna e, incidentalmente, con sede a Milano. Una questione davvero molto interessante. Se Deutsche Bank salta è abbastanza chiaro chi se ne farà carico. Quando è saltata Northern Rock non occorreva una consulenza del divino Otelma per capire chi avrebbe pagato il conto esattamente come per le banche saltate in mezzo mondo da Lehman Brothers in poi. Ora, siccome Unicredit non è, diciamo così, “italiana” quale sarebbe lo Stato che ne garantisce in ultima analisi la sopravvivenza?
È una bella domanda che da noi in Italia, dopo dieci anni di follie e assurdità su banche mercati e spread, che suscitano ilarità in mezzo mondo, risulta estranea. D’altronde, da noi, le banche le “salva il mercato” e lo Stato, come ci è stato ripetuto anche in questi giorni, non si deve immischiare se no il mondo crolla, pagano i contribuenti e poi, a scelta, anche un paio delle sette piaghe d’Egitto. Fatevi un ripasso della cronaca bancaria degli ultimi anni per una sana risata.
Allora ritornando alla questione di Unicredit “banca europea” bisognerebbe chiedersi se questa cosa sia possibile nell’attuale contesto continentale; e non ci interessa nulla se questo contesto sia bellissimo o bruttissimo. Quello che conta è che questa “anomalia” è difficile da mantenere senza uno Stato che esplicitamente o meno faccia da riferimento. Dire che Unicredit è una banca europea nell’attuale contesto significa dire che non è italiana; quindi si pone il problemi di chi sia. Un discorso che, ripetiamo, in questo Paese piagato da dieci anni di discussioni su “investitori e spread” è quasi incomprensibile.
L’ipotesi del Financial Times si basa sull’acquisizione da parte di Unicredit di una quota significativa in Commerzbank, con la fusione poi tra questa e la controllata tedesca di Unicredit “HypoVereinsbank”. È un’operazione che forse risolverebbe “l’europeità” un po’ “apolide” di Unicredit con una banca tedesca e una “italiana”. Come è giusto che sia in un sistema in cui nessuno, soprattutto chi lo conduce, vuole andare verso una maggiore integrazione perdendo le posizioni attuali.
Per avere una banca europea bisognerebbe avere uno Stato europeo, che a prescindere dal fatto che ci piaccia o meno, oggi non c’è e non sembra sinceramente particolarmente vicino. In queste ipotesi il danno irreparabile per il “sistema Italia”, un disgraziato Paese ancora pieno di risparmio, è il destino di Pioneer venduta ad Amundi, francese, e oggi player continentale mentre l’Italia non ne esprime nemmeno uno pur avendo avuto tutte le carte per farlo. Chissà come tutto questo si collocherà nella strana contrapposizione tra europeisti italiani e sovranisti italiani. Una contrapposizione che non fa mai i conti con il particolarissimo modo in cui l’europeismo è stato declinato in Italia con il suicidio di interessi nazionali che gli altri non si sono mai sognati e neanche per un secondo di mettere in discussione. Tanto meno per “l’Europa”.