Dopo mesi di ipotesi e speculazioni sul risiko bancario italiano ieri sembra essersi definito uno dei pezzi più importanti. Unicredit, infatti, ha annunciato con un comunicato stampa un accordo con il ministero dell’Economia e delle Finanze, in qualità di azionista di maggioranza di Mps, per una potenziale operazione avente per oggetto le attività commerciali della banca toscana. Con l’operazione Unicredit aumenterebbe la propria dimensione in Italia e accrescerebbe sensibilmente la propria quota di mercato in diverse regioni italiane tra cui, oltre alla Toscana, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Unicredit dopo la cessione di Fineco, di Pioneer e di altre fabbriche prodotto deve ripensare la propria strategia per avere un ruolo da protagonista nel consolidamento bancario.
La Banca guidata da Orcel nel comunicato specifica chiaramente che tra i presupposti per “verificare la fattibilità dell’operazione” ci sono la neutralità della stessa rispetto alla posizione di capitale del gruppo, un accrescimento significativo dell’utile per azione, l’esclusione di contenziosi straordinari e una due diligence sui crediti della banca toscana. Dopo il comunicato di giovedì sera il caso Monte Paschi sembra quindi essere destinato a una soluzione. Rimangono però ancora molti nodi irrisolti.
Si specula se il sistema si stia avviando verso un mercato centrato su due o tre poli di dimensioni maggiori; nel secondo caso rimarrebbe da definire il destino di Banco Bpm e quello di Bper e Unipol. Rimane anche da definire il ruolo di Mediobanca, in un sistema Paese che è una frazione di quello che fu 30 anni fa, e di Generali su cui rumour e colpi di scena sono all’ordine del giorno da mesi. Non è poi affatto chiaro se l’operazione tra Unicredit e Monte Paschi sia la “conclusione” del percorso di Unicredit oppure solo un passaggio verso trasformazioni più ampie e più sistemiche in un contesto nazionale e continentale in movimento.
Il Covid ci ha regalato un lungo periodo di tassi bassi e inferiori all’inflazione e ha scavato ferite nel sistema economico, sulle famiglie e sulle imprese. È un contesto molto sfidante per chi fa banca tradizionale e commerciale e che deve pagare una struttura pesante, si pensi al numero di filiali e alle decine di migliaia di bancari, e il costo della crisi via perdite su crediti. Il modello tradizionale è sotto pressione da anni e la pandemia ha dato ogni incentivo a rivedere profondamente il modello di business. Fineco, per rendere l’idea di cosa sia successo, capitalizza quasi la metà di Unicredit.
C’è quindi una sfida legata all’andamento dell’economia reale e dell’inflazione e a un sistema ancora fortemente “fisico” con migliaia di filiali sparse per il territorio aperte in “orari di ufficio”. All’orizzonte si intravede quella che verrà posta dalle valute digitali verso cui corrono tutte le banche centrali globali e anche la Banca centrale europea. Il ruolo delle banche commerciali nel nuovo mondo delle valute digitali “ufficiali” deve in qualche modo essere rivisto profondamente. Insieme alla pandemia e al modello economico che ci sta lasciando le valute digitali spingono per risolvere le questioni aperte in fretta. Altrimenti il rischio evidente è di essere solo oggetto e non, almeno in parte, soggetto della trasformazione.
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