L’unione civile non decade se uno dei due partner cambia sesso, quindi il matrimonio non solo è possibile, ma non vengono intaccati i diritti maturati durante l’unione civile. Lo stabilisce la Consulta, con la sentenza numero 66/2024, stabilendo che i diritti acquisiti con la legge Cirinnà non cessano. Di conseguenza, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo dal punto di vista costituzionale l’articolo 1, comma 26, della legge 76/2016 che regola queste unioni, soprattutto ove riporta che se il partner cambia sesso c’è lo scioglimento automatico dell’unione civile. L’Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte costituzionale nel comunicato rivendica come l’intervento in questione sia utile a colmare un vuoto di tutela, come era accaduto in occasione della sentenza 170/2014.
Il tribunale di Torino ha sollevato la questione rinviando il caso alla Corte costituzionale in virtù dei dubbi di costituzionalità della norma rispetto agli articoli 2 e 3 della Carta. Erano emerse perplessità in merito ad una possibile disparità di trattamento se il percorso per il cambio di sesso è intrapreso da una coppia in origine eterosessuale, e unita in matrimonio. La Consulta ha però escluso che sia stato violato l’articolo 3 della Costituzione, evidenziando che, anche se il vincolo creato dall’unione civile ha effetti simili a quelli del matrimonio, questi non coincidono del tutto.
L’INTERVENTO PRECEDENTE DELLA CONSULTA
In merito alla sentenza 170/2014, la Consulta ricorda che aveva giudicato illegittima dal punto di vista costituzionale la legge sulla modifica del sesso per risolvere il nodo del “divorzio imposto“, lo scioglimento del matrimonio o la fine degli effetti civili in seguito a una sentenza per il cambio di sesso.
La Consulta nel comunicato segnala che aveva già sollecitato il legislatore affinché consentisse alle parti che non volevano porre fine al matrimonio di mantenere valido giuridicamente il rapporto di coppia attraverso una forma alternativa di convivenza per tutelare obblighi e diritti della coppia, rimettendo la definizione della disciplina più opportuna. Questo intervento della Consulta fu utile per aggirare l’automatismo della legge sulla rettifica, inoltre consentiva alla coppia ormai dello stesso sesso di accedere all’istituto dell’unione civile potendo contare su diritti e obblighi simili a quelli del matrimonio.