Dalle università italiane sembrano sparire sempre di più i libri di testo, un tempo fonte per eccellenza del sapere e supporto fondamentale alla lezione, sostituti con appunti, slide, dispense e materiali vari, messi a disposizione dagli stessi docenti, o anche da altri studenti che li hanno confezionati, quasi sempre al fine di venderli. Una tendenza chiaramente dimostrata da una recente indagine condotta dall’Associazione italiana editori, attorno alla quale ha riflettuto il sociologo (e docente universitario) Marco Marzano.
Secondo l’indagine dell’Aie, è solamente il 32% degli studenti che frequentano le università in Italia a ricorrere, durante lo studio, ai libri di testo, mentre il restante 68% si affida prevalentemente ad appunti, slide e dispense. L’altra faccia della medaglia, invece, è rappresentata da una maggioranza di docenti universitari che invitano i loro studenti a studiare prevalentemente ciò che viene detto a lezione, talvolta evitando addirittura di indicare testi tra i materiali dell’insegnamento. Una deriva, quella dei libri sostituiti dagli appunti nelle università, che secondo Marzano è tragica, oltre che dannosa per il livello di educazione degli atenei italiani, che senza ricorso ai testi non può che uscirne pesantemente ridotto.
Marco Marzano: “L’università senza libri perde il suo ruolo educativo”
Dietro alla scomparsa dei libri dalle università italiane, sempre più sostituti con gli appunti, secondo Marzano ci sono una serie di fattori differenti. In primo luogo, la sola esistenza di un “grande mercato di appunti e sintesi” è uno stimolo per gli studenti a ricorrervi, peraltro unitamente (ed è il secondo motivo) al fatto che oggi “molti ragazzi leggono malvolentieri, ma ascoltano di buon grado perché hanno maggiore familiarità con il parlato“. Non si può negare, poi, tra i motivi, anche il fatto che la “frammentazione e concentrazione temporale di molti corsi” ne danneggia la fruibilità e, dunque, la capacità degli studenti di integrare gli appunti persi in Università con i libri, così come un elemento centrale è sicuramente “la scarsa qualità dei libri di testo”.
L’ovvia conseguenza di questo fenomeno è che si finisce per danneggiare la qualità degli insegnamenti, in cui “l’omelia professorale viene appresa parola per parola e riportata con precisione”. Così, “le parole pronunciate a lezione finiscono per costituire il canone, la dottrina definitiva” su una determinata disciplina, mentre nella realtà ne rappresentano “solo una versione inevitabilmente semplificata“. Insomma, nell’università con meno libri e più appunti, viene meno quella capacità degli studenti di “farsi un’idea propria e di sviluppare un pensiero critico, di apprendere in profondità e in modo maturo gli strumenti culturali che l’università mette a disposizione” e che sono frutto esclusivo di una “indispensabile lettura dei libri”.