Durante il lockdown e, a tratti, nei due anni dominati dal terrore del Covid, vari Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno sperimentato la didattica a distanza nelle scuole, dalla primaria all’università. La didattica “a distanza” è quella in cui discente e docente non sono compresenti, ma comunicano tra loro da luoghi diversi con l’intermediazione di strumenti elettronici.
La didattica di questo tipo richiede competenze particolari. In primis, la capacità di padroneggiare gli strumenti di comunicazione, ma anche lo sviluppo di tecniche di comunicazione che assicurino buoni livelli di attenzione negli uditori al fine di stimolare l’apprendimento della materia.
Del tutto diversa rispetto allo standard è anche la verifica dell’apprendimento: l’esame, infatti, dovrebbe essere svolto in modo tale da misurare, senza infingimenti e senza imbrogli, ma a distanza, il miglioramento delle conoscenze del discente.
Riassumiamo in poche parole ciò che è successo nei due anni recenti.
– Il lockdown è avvenuto ad anno scolastico avviato, anzi a secondo semestre iniziato. Le scuole e le università sono state chiuse di colpo e hanno dovuto reperire la strumentazione necessaria alla nuova didattica per centinaia di migliaia di corsi e milioni di studenti. I docenti hanno dovuto in tempi brevissimi cambiare la modalità di svolgimento dei corsi e degli esami. Milioni di famiglie, in alcuni casi con l’aiuto dello Stato, hanno garantito ai giovani una tecnologia adeguata a comunicare con quella delle scuole. È stata una sterzata secca sul piano tecnico e culturale che ha coinvolto l’intera società, tuttavia l’Italia si è adattata in poco tempo e con inusitata efficienza alla circostanza.
– Il rapporto docenti-discenti è stato cruciale per l’apprendimento. I primi, dopo l’iniziale incertezza, si sono ingegnati ad argomentare davanti alle telecamere, hanno creato materiali e metodi didattici specifici e, il più delle volte, hanno svolto gli esami in modo nuovo, spesso mediante domande a quiz e in alcuni casi con prove scritte più descrittive. Rari sono stati gli esami orali. Nelle università l’apprendimento, valutato in termini di percentuale di superamento dell’esame e di voto medio rispetto agli standard precedenti, ha indicato la pratica continuità della Dad con gli standard pre-Covid, anzi, in certi casi, un leggero miglioramento, nel senso che sia il numero di esami superati, sia il voto agli esami sono stati non inferiori a prima.
– Gli studenti universitari, da casa, hanno potuto assistere alle lezioni in diretta oppure in differita, essendo le lezioni accessibili anche in forma registrata. Hanno, cioè, avuto la possibilità di rivedere la registrazione della medesima lezione quando e quante volte volevano. In varie indagini gli studenti hanno manifestato di gradire la didattica a distanza che, in ogni caso, ha permesso loro una migliore gestione dei tempi rispetto al più rigido orario imposto dalla presenza ai corsi. Non solo, ma gli studenti possono rallentare o accelerare a piacimento la registrazione delle lezioni, secondo i loro scopi.
Quindi, da questi dati generali, la didattica a distanza (d’ora in avanti Dad) sembra sia stata un metodo didattico non solo efficiente, ma anche efficace, sia dal punto di vista dell’apprendimento, sia da quello della qualità della vita.
Purtroppo, se si guarda sotto la superficie, le cose sono del tutto diverse. La Dad svolta in questi due anni di Covid si è infatti rivelata, per vari aspetti, inadeguata. Infatti, sia l’apprendimento che la propensione allo studio – come dimostriamo nel seguito – sono peggiorati; pertanto, se fosse ripetuta come durante l’emergenza, abbasserebbe la qualità media della formazione nel Paese e favorirebbe comportamenti apatici tra gli studenti e, verosimilmente, anche tra i docenti.
Ricerche svolte in varie università italiane, ma lo stesso fenomeno è stato osservato anche altrove, hanno dimostrato che, se i dati sugli esami svolti dopo la Dad si disaggregano secondo il voto medio che lo studente aveva “sul libretto” prima di questo fenomeno, si possono individuare tre diversi esiti: gli esami di quelli che avevano un voto basso, che sono piuttosto migliorati; quelli che avevano voti medi, che sono rimasti come prima o sono di poco migliorati; e quelli che li avevano alti che, invece, hanno mostrato un calo nelle prestazioni rispetto a prima.
Nella gran media, l’esito agli esami è dunque migliorato. Ci sono stati casi di esami svolti con piccoli imbrogli che non spiegano il miglioramento della massa degli studenti.
Cerchiamo di capire, invece, perché la Dad ha sfavorito i più bravi, quelli con standard di apprendimento superiori, e si capirà perché c’è ancora tanta strada da fare prima di poter considerare la Dad un modo adatto all’apprendimento quanto la didattica “in presenza”.
Anzitutto, la didattica davanti a una telecamera richiede al docente una “personalità televisiva” che non tutti possiedono. Parlare a distanza non è affatto la stessa cosa che parlare con gli studenti davanti, con i quali il docente può interagire, con lo sguardo o con la parola, per capire se stanno seguendo il filo del discorso. Non è escluso che, agendo in modo adeguato sui docenti, si possa sviluppare una tale personalità, anche se, finora, i tentativi di “insegnare ad insegnare” rivolti ai docenti non hanno avuto il successo che avrebbero meritato, né prima, né durante il Covid.
La telecamera stessa crea ansia da prestazione, obbligando a preparare accuratamente il discorso per evitare errori e pause e ad usare un linguaggio formale. Insomma, il mezzo di comunicazione, per sua natura, tende a standardizzare i comportamenti dei docenti. Forse induce i docenti meno comunicativi a dare il meglio di sé. Sicuramente induce i docenti più eclettici, quelli che di solito fanno amare la materia agli studenti, a formalizzarsi, riducendo così l’efficacia della narrazione.
Se si considera la tendenza della Dad alla standardizzazione assieme alle condizioni di emergenza in cui è nata l’esigenza della Dad e all’oggettiva difficoltà di fare esami a distanza, si può intuire che sono stati i docenti ad “abbassare l’asticella” dell’esame e a ottenere verifiche coerenti con questa impostazione. L’abbassamento dell’asticella ha favorito i meno dotati e non ha evidenziato i più bravi.
Quindi, gli indicatori di apprendimento basati sugli esami hanno dato un esito prevedibile: a didattica più piatta hanno corrisposto verifiche più formali e meno differenzianti.
I docenti si difendono affermando che fare meglio era difficile, e probabilmente è vero. Tuttavia, durante l’isolamento, su docenti e studenti può aver agito un condizionamento psicologico simile alla “sindrome di Stoccolma”, vale a dire che gli uni e gli altri sono stati costretti a parlarsi dentro una rete (il web) circoscritta, come se si trattasse di un luogo chiuso. La condivisione delle difficoltà può aver portato i docenti a essere più tolleranti con gli studenti in fase d’esame.
La distanza concettuale tra apprendimento ed esami è evidente se si esaminano i dati della Tabella 1, in cui sono sintetizzati i dati rilevati in una indagine svolta in Italia nella seconda metà del 2021. Il 72,1% degli italiani ha affermato che la Dad non permette di apprendere quanto in presenza, il 12% che le due metodiche danno all’incirca lo stesso esito e solo l’8,2% è convinto della superiore efficacia della Dad.
Tra gli insegnanti, la percentuale che considera la Dad inferiore alla didattica in presenza sale al 75,7% e quella che è convinta del contrario scende al 4,9%. Si noti che gli studenti che sostengono l’efficacia formativa della Dad sono meno dei docenti, ma non tanto quanto uno potrebbe aspettarsi (65%), mentre quelli che sostengono la superiorità della Dad sono il 13,9%.
Tabella 1. Distribuzione percentuale delle opinioni degli italiani sull’efficacia formativa della didattica a distanza (Dad), per attività svolta (dati inediti)
La Dad permette agli studenti di apprendere… | Insegnanti | Studenti | Totale Italia |
Meno della didattica in presenza | 75,7 | 65,0 | 72,1 |
Come quella in presenza | 13,2 | 16,1 | 12,0 |
Più di quella in presenza | 4,9 | 13,9 | 8,2 |
Non so, non mi esprimo | 6,2 | 5,0 | 7,8 |
Totale | 100,0 | 100,0 | 100,0 |
Tutto sommato, il sentimento di inadeguatezza della Dad è non solo molto diffuso in Italia, e in modo particolare tra gli insegnanti, ma è largamente diffuso anche tra gli studenti universitari. Ciò nonostante, tutti, docenti e studenti compresi, per i tempi futuri, la considerano un valido strumento complementare alla didattica in presenza.
Infatti, come risulta evidente dall’analisi della Tabella 2, solo il 36% degli italiani esprime forti riserve nei confronti della Dad, mentre il 54% pensa che sia uno strumento utile a sostenere l’imprescindibile didattica in presenza e solo il 4% che possa sostituirla del tutto anche dopo l’emergenza (il 6% non si esprime).
Si può notare che le opinioni di docenti e studenti ricalcano il giudizio dato per l’esperienza passata, con i docenti più severi degli studenti nel valutare l’efficacia della Dad, ma gli uni e gli altri si sono dimostrati capaci di scindere un più che discreto giudizio sull’utilità della Dad come supporto alla didattica in presenza da quello negativo sull’efficacia che può avere da sola ai fini dell’apprendimento.
Tabella 2. Distribuzione percentuale delle opinioni degli italiani sulla appropriatezza della didattica a distanza (Dad) dopo l’emergenza, per attività svolta (dati inediti)
Ad emergenza conclusa, la Dad… | Insegnanti | Studenti | Totale Italia |
… non va bene per nessun corso | 17,4 | 10,4 | 16,6 |
… si applica solo se prima era a distanza | 22,9 | 14,5 | 19,3 |
… va bene per mix di presenza e distanza | 52,1 | 64,4 | 53,8 |
… può sostituire del tutto didattica in presenza | 2,8 | 6,6 | 4,1 |
Non so, non mi esprimo | 4,9 | 4,1 | 6,3 |
Totale | 100,0 | 100,0 | 100,0 |
A scanso di equivoci, va detto che il considerare la Dad uno strumento di sostegno della didattica in presenza non vuol dire che la forma ibrida (presenza + distanza) sia l’ottimo, anzi, l’esperienza dimostra che insegnare tenendo un occhio sulla classe presente e uno sulla telecamera rivolgendosi agli studenti collegati (o in differita) genera pasticci: si finisce per non comunicare bene né con gli uni né con gli altri. Invece, il docente deve necessariamente riferirsi ai presenti, ma deve creare materiali (anche) per gli assenti. L’aula e il laboratorio rimangono i luoghi primari dello scambio tra docente e discente. La possibilità di coinvolgere anche gli studenti assenti è una cosa aggiuntiva, non sostitutiva dell’aula.
Concludendo, si può affermare che, come è già successo per l’emergenza Covid, la Dad può diventare lo strumento di riserva nei casi di forza maggiore. Inoltre, e questo è di capitale importanza, può contribuire positivamente alla formazione di coloro che non possono seguire le lezioni. Si pensi ai lavoratori-studenti, cioè alle persone che hanno un lavoro e che vogliono completare la propria formazione frequentando un corso universitario. Si tratta di molte decine di migliaia di studenti ai quali le università italiane non offrono a tutt’oggi alternative all’impossibilità di frequentare i corsi. Si pensi, inoltre, a tutti coloro che hanno difficoltà, anche solo temporanea, di movimento (malati, disabili eccetera) e che sono impossibilitati a frequentare. Per chi ha difficoltà a frequentare, il supporto della Dad è importante.
In ogni caso, l’esperienza ha ribadito ciò che in altri Paesi era già evidente, ossia l’esistenza di un ampio spazio per sperimentare strumenti e metodi per migliorare l’apprendimento tramite la Dad. Se l’apprendimento è l’obiettivo primario della didattica, si dovranno anzitutto elencare gli obiettivi di conoscenza, competenza e disposizione mentale della formazione, poi cosa e come docenti e discenti devono fare per raggiungere appieno tali obiettivi. Tra l’altro, ciò dovrebbe essere codificato anche per la didattica in presenza. Infatti, la lettura dei programmi universitari mostra che, da questo punto di vista, a dispetto delle affermazioni di principio, c’è tuttora molta strada da fare.
Per ciò che abbiamo sopra scritto, qualcuno ci accuserà di conservatorismo antistorico, poiché tutti usano la tecnologia per comunicare e i comportamenti favorevoli all’impiego totalizzante dei mezzi tecnologici sono irreversibili, in modo particolare tra i giovani. E dirà che è solo questione di tempo. Qualcuno si spinge ad affermare che, prima o poi, anche il docente sarà sostituibile dal suo avatar, il suo analogo virtuale.
Può darsi. Come può darsi che fra qualche generazione diventino piacevoli quelle odiose segreterie automatiche che, oggi, provocano accessi di bile in chi cerca di mettersi in contatto con una persona dentro un’organizzazione complessa (come un’amministrazione pubblica), oppure vuole poter ottenere quanto gli è dovuto (provate a farvi restituire una somma che vi devono le ferrovie o le autostrade). Fino ad allora non si avranno buoni risultati in termini di apprendimento se si cercherà di sostituire un docente capace di entrare in empatia con degli studenti con uno costretto a standardizzare, invece che a differenziare, lo scambio didattico con gli studenti. Far apprendere è una delle cose più difficili.
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