Si infoltisce la lista di Università italiane che, su spinta delle manifestazioni organizzate in tutto il Bel Paese dagli attivisti studenteschi raccolti sotto l’etichetta rossa di Cambiare Rotta, interrompono le collaborazioni con gli atenei di Israele: tradizione (per così dire) inaugurata a Torino e che ha raggiunto anche Bari. Una situazione, dicono gli attivisti, legata alla politica repressiva israeliana nei confronti dei palestinesi, culminata in quello che chiamano ‘genocidio’ seguito agli attacchi da parte di Hamas del 7 ottobre.
“Con la Palestina fino alla vittoria”, chiosano gli studenti/anarchici che occupano l’ateneo di Bari durante il Senato accademico, nel corso del quale la dirigenza dell’Università statale ha discusso delle sorti degli accordi, giungendo alla conclusione che (spiega il Rettore Stefano Bronzini) “non presenteremo progetti per il bando di cooperazione tra Israele e Italia”. Vittoria, gridano gli attivisti, ignorando il ben più ampio problema di tutti gli altri accordi con gli stati illiberali che lo stesso ateneo ormai da anni ha stipulato. Si consideri, infatti, che mentre da Bari si collaborava nel 2022 con 6 Università di Israele, al contempo erano (e sono tutt’ora) 14 i bandi attivi con l’Iran, più altri 9 con la Cina, 14 con la Russia e 3 con la Turchia.
Il doppio standard dell’Università di Bari: chiude a Israele, ma collabora con l’Iran
Insomma, mentre gli studenti di Cambiare Rotta festeggiano, dall’esterno appare se non altro evidente il doppio standard che a Bari, ma anche altrove (se non ovunque) in Italia, si applica nei confronti delle Università di Israele e di quelle iraniane, cinesi, russe, paesi più volte e in più sedi condannati per le loro posizioni (usando un eufemismo) ‘poco’ democratiche. Con particolare riferimento all’Iran, tanto per dare un numero, nel 2023 sono state condannate a morte 853 persone, mentre la media di Israele è pari a 0.
Ma ancora, oltre al dato scollegato dalle Università sulla pena di morte, sorprende che a Bari si sia dimenticato che (nuovamente a differenza di Israele) in Iran sono stati licenziati 110 professori universitari, coinvolti parrebbe nelle proteste contro la sharia islamica in particolare per quanto riguarda la posizione delle donne. Virali (e tristemente crudi) i video dell’esercito dell’ayatollah che sfondano le porte delle Università statali e aprono il fuoco sui manifestanti, mentre non si conta il reale numero di quanti sono stati arrestati, quanti torturati e quanti spariti nel nulla. Insomma: da Bari e in tutta Italia le Università italiane rompono con Israele, che occupa il 17esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà accademica (superiore a molti paesi europei); mentre non si capisce nessuno critichi le collaborazioni con l’Iran, che occupa il 160esimo posto nella stessa lista.