Uno degli argomenti recentemente più dibattuti è stato la proposta di fornire una dote di 10mila euro ai 18enni per garantire loro, tra le altre cose, un’opportunità di formazione.
Senza voler entrare nel merito di come questa dote debba essere finanziata, vale la pena condividere due numeri per inquadrare meglio il problema.
Il primo riguarda l’investimento, pubblico e privato, in istruzione terziaria. Secondo l’Ocse, nel 2017 la quota del Pil italiano dedicata a questa tipologia di spese era dello 0,9%, ovvero circa 15,5 miliardi di euro. Tuttavia la media dei paesi Ocse era dell’1,45%. Se applicassimo questa percentuale al nostro Pil, l’Italia dovrebbe investire in istruzione circa 25 miliardi. Ciò significa che destiniamo all’istruzione terziaria circa 10 miliardi di euro in meno di quanto dovremmo fare se fossimo in linea con gli altri paesi sviluppati.
Il secondo dato riguarda la spesa pro capite. Considerati il milione e 700mila studenti universitari, investiamo, in proporzione, circa 9mila euro l’anno per la formazione di ciascuno di loro. Portando l’investimento complessivo ai livelli degli altri paesi Ocse, ovvero a 25 miliardi, ferma restando una delle due variabili, sulla carta si potrebbe aumentare fino al 60% l’investimento per studente o fino al 60% il numero di persone che hanno accesso a un percorso universitario.
La proposta della dote di 10mila euro ai 18enni è auspicabile, perché ha il merito di mettere al centro del dibattito pubblico i giovani italiani. Tuttavia, per una valutazione più completa, potrebbero essere necessarie due premesse, una quantitativa e una qualitativa.
Partiamo da quella quantitativa. Tra risorse pubbliche e private, escludendo i costi non strettamente connessi alla frequenza di un corso di laurea (e quindi mi riferisco all’alloggio, alla vita universitaria, ai libri eccetera), in media sono necessari circa 50mila euro per formare un ragazzo o una ragazza per i cinque anni dell’università. Queste risorse possono arrivare da un mix di strumenti pubblici e investimenti privati (delle singole famiglie o dei futuri datori di lavoro che beneficiano di queste competenze).
La considerazione qualitativa è che qualsiasi risorsa pubblica venga utilizzata direttamente (attraverso investimenti diretti dello Stato) o indirettamente (con trasferimenti a famiglie e aziende) deve tradursi in benefici concreti per gli studenti, come ad esempio un aumento delle borse di studio, un miglioramento della qualità delle residenze universitarie, aule e macchinari più moderni o ancora più docenti universitari che si prendano cura con maggior attenzione degli studenti.
Considerati anche gli altri presupposti dell’idea alla base della dote (spingere i giovani a vivere in modo autonomo e a lanciare progetti imprenditoriali), 10mila euro sono forse troppo pochi.
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