In un quadro generale di sostanziale stabilità dei dati occupazionali che vede costantemente oltre il 30% (31,4% ad aprile 2019, dato Istat) la percentuale dei giovani italiani disoccupati, danno qualche segnale di positività i numeri che emergono dai “Rapporti 2019 sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati” presentati da Almalaurea in questi giorni. I dati provengono da una annuale indagine che ha coinvolto 75 Atenei aderenti al Consorzio Almalaurea.
Il “Rapporto sul profilo del laureati 2019” prende in esame i risultati di oltre 280.000 laureati nel 2018, mentre il “Rapporto sulla condizione occupazionale” analizza circa 640.000 laureati di primo o secondo livello del 2013, 2015 e 2017 contattati qualche anno dopo la laurea. I numeri quindi costituiscono un campione decisamente attendibile dal punto di vista statistico e possono essere chiaramente interpretati per un’analisi della situazione esistente e come base per scelte strategiche future.
Un primo dato generale che può essere ritenuto significativo è la ripresa delle immatricolazioni, che dopo un calo riscontrato fino all’anno accademico 2013/14, dall’anno successivo sono aumentate fino ad arrivare al +9,3% del 2017/18 rispetto al 2013/14. Nonostante questo, gli atenei dal 2003/2004 hanno visto ridurre il numero degli iscritti complessivamente di 40.000 matricole, segno che i valori della ripresa non hanno ancora compensato i precedenti cali. Altro elemento significativo è che rispetto all’anno accademico 2003/2004 le immatricolazioni sono in calo per tutte le aree disciplinari eccetto le aree scientifiche, nelle quali si rileva un aumento del 13%, segno che le campagne di sensibilizzazione rispetto alla necessità di laureati in tali discipline e la conseguente maggiore occupabilità riscontrata nei relativi settori hanno dato i loro frutti.
Sempre sul profilo dei laureati, è da osservare che in generale mentre nelle Università al Nord e del Centro Italia si riscontra un numero di immatricolati superiore di circa il 20% rispetto a quelli che hanno ottenuto il diploma superiore nella stessa area geografica, nelle Università del Sud si riscontra una perdita di circa il 25% dei diplomati nella zona. Un numero considerevole di ragazzi del Sud quindi preferisce trasferirsi al Centro o al Nord per studiare all’Università, convinto probabilmente dalle maggiori possibilità occupazionali.
Un altro dato importante riguarda il contesto familiare e la formazione dei genitori dei ragazzi che si iscrivono all’Università. Si osserva infatti che non solo persiste, ma aumenta in modo considerevole passando dal 25,5% del 2008 al 29,9% del 2018 il fenomeno legato al fatto che i giovani provenienti da famiglie nelle quali almeno un genitore è laureato siano spinti a frequentare l’Università. Il fenomeno si acuisce in modo evidente se si guardano i dati suddivisi per tipologia di laurea, che vedono il 42% degli iscritti a una laurea magistrale a ciclo unico provenire da una famiglia nella quale almeno un genitore è laureato. Ancora una volta quindi si riscontra che nelle scelte di studi hanno un ruolo importante il livello culturale della famiglia e in parte rilevante anche la situazione economica.
Migliora il dato di riuscita negli studi che in media prevede un’età di 25,8 anni in chi consegue una laurea che vede una diminuzione netta dal 2008 (età media 27 anni) spiegata però in parte dalla riforma che ha introdotto le lauree triennali, mentre resta sostanzialmente costante la media dei voti di laurea.
Interessanti anche i dati riferiti alle innovazioni didattiche: l’introduzione di esperienze all’estero e di tirocini lavorativi, vede il numero di studenti coinvolti in decisa crescita. Dall’8% di esperienze all’estero del 2008 al 11,3% del 2018 e dal 53% di tirocini curricolari del 2008 al 59,3% del 2018 con una sostanziale soddisfazione degli interessati rispetto all’esperienza. In flessione al contrario il numero degli studenti lavoratori che passa dal 74,7% del 2008 al 65,4% del 2018.
Passando al “Rapporto 2019 sulla condizione occupazionale dei laureati” si riscontra che il livello occupazionale a un anno dalla laurea vede il 72% di occupati tra i laureati di primo livello e il 69,7% tra quelli di secondo livello, dati che indicano un aumento di circa il 6,4% per i primi e di 4,2% per i secondi rispetto ai dati del 2014, aumento che comunque non riesce a colmare la contrazione avvenuta tra il 2008 e il 2014.
Nonostante inoltre l’evidenza di un lieve aumento dei livelli retributivi, restano piuttosto problematiche le forme contrattuali di assunzione dei neolaureati, che prevedono principalmente lavori a tempo determinato.
Decisamente più positivi sono i dati riguardanti i laureati a cinque anni dal conseguimento del titolo che vedono sia un aumento medio del livello retributivo che una stabilizzazione del rapporto di lavoro con la prevalenza di contratti a tempo indeterminato. Sempre a cinque anni dalla laurea, si riscontra che il lavoro svolto dal laureato è coerente con il tipo di studi e quindi ritenuto “molto efficace” per il 64,9% per i laureati di primo livello e per il 65,3% per i laureati del secondo livello. Rispetto al 2015 un netto aumento rispettivamente dell’1,7% e del 3,5%.
Se si vanno a esaminare gli ambiti disciplinari, non stupisce il fatto che tra i laureati magistrali a cinque anni dal conseguimento gli occupati siano in percentuale maggiore tra i settori dell’ingegneria (93,2%), economico statistico (89,6%), medico sanitario (89,3%), scientifico (89,0%), mentre i livelli più bassi di occupabilità si riscontrino nel campo letterario (77,5%) e giuridico (75,2%).
In buona sostanza quindi, si può affermare che in generale alcuni punti di miglioramento del sistema universitario italiano iniziano a evidenziarsi, con un lento progresso che forse risente di un certo immobilismo di sistema e una radicata resistenza all’innovazione. Resta comunque innegabile che i laureati sono in generale in grado di reagire in modo positivo ai mutamenti del mercato del lavoro e che esistono dei vantaggi occupazionali rispetto a chi possiede solamente il diploma di scuola media superiore.
Qualche dubbio ancora invece permane sul “premio salariale” della laurea rispetto al diploma che in Italia non è elevato come in altri paesi europei e che spesso non ripaga degli investimenti di tempo e finanziari relativi alla scelta universitaria.