I primi mesi del 2020 hanno visto tutta la nostra società coinvolta nella pandemia Covid-19 e così all’ormai classico “rapporto 2020 sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati” riferito ai dati 2019 e pubblicato in questi giorni, Almalaurea ha opportunamente allegato un approfondimento sui primi mesi del 2020 che, data la particolarità della situazione socio-economica, può essere utile per capire quanto avverrà prossimo futuro.



Il “Rapporto sul profilo del laureati 2020” prende in esame i risultati di oltre 290.000 laureati nel 2019, provenienti da 75 atenei, mentre il “Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati” riguarda circa 650.000 laureati di 76 atenei, del 2018,2016 e 2014 contattati a 1,3 o 5 anni dopo la laurea.



I laureati 2019 presi in considerazione sono oltre 290.000 dei quali 166.000 di primo livello (57,3%), 87.000 magistrali biennali (29,7%) e 36.000 magistrali a ciclo unico (13%). I numeri quindi costituiscono un campione molto attendibile dal punto di vista statistico e possono essere chiaramente interpretati per un’analisi della situazione esistente prima della pandemia e per un opportuno confronto con i primi dati del 2020.

Un dato particolarmente significativo è la crescita delle immatricolazioni avvenuta nel 2019, già evidenziata nei rapporti degli anni precedenti. Dopo un calo riscontrato fino all’anno accademico 2013/14, dall’anno successivo le iscrizioni sono aumentate fino ad arrivare al +11,2% del 2018/19 rispetto al 2013/14. Nonostante questo, gli atenei dal 2003/2004 hanno visto ridurre il numero degli iscritti complessivamente di 37.000 matricole, segno che i valori della ripresa non hanno ancora compensato i precedenti cali.



Altro elemento significativo è che rispetto all’anno accademico 2003/2004 le immatricolazioni sono in calo per tutte le aree disciplinari a eccezione delle aree scientifiche, nelle quali si rileva un aumento del 15,4%, chiara indicazione del fatto che le campagne di sensibilizzazione rispetto alla necessità di laureati in tali discipline, e la conseguente maggiore occupabilità riscontrata nei relativi settori, stanno fornendo buoni risultati.

Un dato importante che si sta ripetendo di anno in anno riguarda il contesto familiare e la formazione dei genitori dei ragazzi che si iscrivono all’università. Si osserva infatti che non solo persiste, ma aumenta in modo considerevole passando dal 25,5% del 2008 al 30,4% del 2019 il fenomeno legato al fatto che i giovani provenienti da famiglie nelle quali almeno un genitore è laureato siano spinti a frequentare l’università. Il fenomeno si acuisce in modo evidente se si guardano i dati suddivisi per tipologia di laurea, che vedono il 43,4% degli iscritti a una laurea magistrale a ciclo unic, provenire da una famiglia nella quale almeno un genitore è laureato. Ancora una volta quindi si riscontra che nelle scelte di studi hanno un ruolo importante il livello culturale della famiglia e in parte rilevante anche la situazione economica.

Interessante, ma il dato non sorprende, il background formativo dei laureati che registra la prevalenza tra i laureati di chi aveva precedentemente frequentato un liceo (76,5%) rispetto ai diplomati tecnici (18,9%) e ai professionali (2,1%). Negli ultimi 10 anni la percentuale dei laureati “liceali” è passata dal 67,9% del 2009 al 76,5% del 2019.

La “riuscita negli studi” migliora seguendo il trend degli scorsi anni e vede in media un’età di 25,8 anni, dato costante rispetto allo scorso anno, in chi consegue una laurea con una diminuzione netta dal 2008 (età media 27 anni) spiegata però in parte dalla riforma che ha introdotto le lauree triennali, mentre resta sostanzialmente costante la media dei voti di laurea.

Continuano a restare positivi anche se in lieve regresso i dati riferiti alle innovazioni didattiche: l’introduzione di esperienze all’estero e di tirocini lavorativi. Nel caso delle esperienze all’estero il numero di studenti coinvolti si attesta al 11,2% dei laureati contro l011,3% del 2018, mentre resta sostanzialmente costante il numero di chi ha sostenuto un’esperienza di tirocinio durante il corso di studi universitari (59,9%).

Il “Rapporto 2020 sulla condizione occupazionale dei laureati” indica che il livello occupazionale a un anno dalla laurea vede il 74% di occupati tra i laureati di primo livello e il 71,7% tra quelli di secondo livello, dati che indicano un aumento di circa l’8,4% per i primi e di 6,5% per i secondi rispetto ai dati del 2014, aumento che comunque non riesce a colmare la contrazione avvenuta tra il 2008 e il 2014.

Nonostante, inoltre, l’evidenza di un lieve aumento dei livelli retributivi, restano piuttosto problematiche le forme contrattuali di assunzione dei neolaureati, che prevedono principalmente lavori a tempo determinato. Decisamente più positivi sono i dati riguardanti i laureati a cinque anni dal conseguimento del titolo che vedono sia un aumento medio del livello retributivo che una stabilizzazione del rapporto di lavoro con la prevalenza di contratti a tempo indeterminato.

Se si vanno a esaminare gli ambiti disciplinari, ancora una volta il rapporto evidenzia come tra i laureati magistrali a cinque anni dal conseguimento gli occupati siano in percentuale maggiore tra i settori dell’ingegneria (93,9%), medico sanitario (91,0%), architettura (90,1%), economico statistico (89,7%), chimico farmaceutico (89,5%), scientifico (88,2%), mentre i livelli più bassi di occupabilità si riscontino nel campo letterario (80,9%) e dell’insegnamento (79,9%).

Infine, il citato approfondimento compiuto da Almalaurea da marzo i primi di giugno 2020, che ha coinvolto oltre 100.000 laureati di primo livello e secondo livello a un anno dalla laurea e circa 50.000 laureati di secondo livello a cinque anni dalla laurea, evidenzia abbastanza chiaramente che sono soprattutto i neolaureati a risentire della crisi causata dalla pandemia, mentre i laureati già inseriti da tempo nel mondo del lavoro non hanno avuto problematiche particolari a livello occupazionale. Ancora una volta comunque, sono le cosiddette “fasce deboli” – laureati provenienti dal sud Italia e donne – che hanno risentito maggiormente degli effetti della crisi.

Molto interessanti sono le indicazioni dei laureati circa l’utilizzo dello smart working che, seppur vissuto con sensazioni negative rispetto ai problemi di socializzazione, dalla maggioranza è ritenuto uno strumento valido e utilizzabile anche in periodi “normali” dato che la produttività in generale non ne ha risentito e anzi in molti casi è migliorata.

La previsione del periodo di crisi che si profila nel prossimo futuro fa ritenere alla maggioranza dei laureati che saranno richieste a tutti nuove competenze, parte delle quali acquisite durante questo periodo di “lockdown” e che il ritorno alle modalità di lavoro “classiche” non sarà in generale così rapido.

Sarà interessante, alla luce di questi dati, capire quale sarà l’effetto post-pandemia sulle immatricolazioni universitarie e sui livelli occupazionali del prossimo periodo. Di fronte alla prospettiva di cali occupazionali e alla possibilità che la congiuntura economica sconsigli i giovani a iscriversi all’università saranno necessarie scelte politiche strategiche che possano far tornare in tutti la fiducia in una rapida ripresa.