Caro direttore,
mi riferisco all’articolo di Giambattista Scirè “Università, ecco come funziona: dal doping delle autocitazioni ai concorsi pilotati”. Un’intervista a Scirè sull’università era già apparsa sul Sussidiario, che poi aveva pubblicato una risposta puntuale di Giorgio Vittadini. L’articolo parte citando lo studio di Baccini, De Nicolao e Petrovich che hanno argomentato una crescita anomala delle citazioni di articoli scientifici italiani dopo il 2011 dovuta essenzialmente a comportamenti opportunistici di autocitazione e citazione di gruppo, come effetto della riforma universitaria e della politica Anvur che fa dipendere le abilitazioni da medie di metriche in costante salita.



Lo studio vuole dimostrare che l’azione dell’Anvur non è positiva per l’università italiana, poiché stimola pratiche scorrette non rilevabili prima (il parametro studiato è la percentuale di citazioni nazionali, che aveva valori simili per Italia, Germania, Francia e Regno Unito sino al 2010, e poi schizza in su per l’Italia in modo patologico).



Un’interpretazione autentica di tale studio è data dallo stesso De Nicolao, dove si commenta che le recenti cure a base di tagli degli investimenti nell’università e ricerca non sono farmaci che producono effetti miracolosi di migliore ricerca, come si potrebbe dedurre dall’incremento degli indicatori dopo il 2011. Se ne deduce che non è una strategia vincente affamare il cavallo pensando che corra più veloce, magari perché drogato, dato che prima o poi stramazzerà al suolo (qualcuno ricorderà la battuta di un politico su affamare la bestia). Per cui se si vuole un’università competitiva, bisogna essere competitivi con gli investimenti in essa e nel suo personale, corrente e da assumere. Su questa conclusione credo che la maggior parte delle persone serie che operano nell’università siano d’accordo con gli autori.



La seconda parte dell’articolo di Scirè è invece completamente inaccettabile e costruita su falsità insostenibili. Alcune perle: “Il sistema funziona pressapoco così: ci sono convegni e conferenze, che prevedono la pubblicazione degli atti, dunque la realizzazione di pubblicazioni cosiddette scientifiche (fatte con soldi pubblici di tutti i cittadini messi dai dipartimenti degli atenei e gestiti senza alcun controllo), a cui partecipano ogni anno sempre gli stessi docenti, per lo più ordinari, che si conoscono tra loro e che decidono il bello e il cattivo tempo ai concorsi: scrivono su qualche foglio…”.

“A questi convegni e conferenze i docenti partecipano solo pretestuosamente per diffondere i risultati delle cosiddette ricerche scientifiche, ma il vero obiettivo di questi incontri annuali è piuttosto quello di ‘spartirsi le torte’…”.

“Allo stesso tempo il barone commissario (feudatario) Tizio dice all’allievo o al collega (valvassino o valvassore) Caio di inviare il suo articolo alla rivista di cui è direttore, editor, o membro del comitato scientifico il collega commissario Sempronio (confratello), ovviamente affiliato dell’altro, e lo fa – ecco il giochetto smascherato dalla ricerca in questione – citando una lunga lista di articoli degli altri colleghi che fanno parte della ‘famiglia’…”.

Qui non ci siamo proprio. Io parlo della mia esperienza nelle facoltà scientifiche cui si applicano i criteri bibliometrici (siamo partiti da quelli, no?), dove le conferenze e le riviste sono di fatto quasi solo internazionali, molto competitive, con apparati di revisione complessi che accettano in base a criteri di merito (il che non significa che ci azzecchino sempre o non ci siano tendenze favorite in un certo momento). Gli articoli sono accettati da comitati internazionali in una competizione tra ricercatori da tutto il mondo, che spesso operano in sistemi molto meglio organizzati, dimensionati e finanziati con politiche di lungo respiro rispetto all’Italia. Raccontare che le accettazioni degli articoli dei ricercatori italiani sarebbero decise in conferenze fasulle dove s’incontra la cupola dei pochi ordinari o in riviste fantomatiche edite dagli ordinari medesimi è una falsità così grossolana che non può essere lasciata passare.

Tralascio i commenti su altre perle dell’autore e sulle sue proposte di riforma contradditorie dove, dopo aver dato addosso al sistema bibliometrico, si accenna a “rendendo più ferree e rigide le regole che già ci sono, in direzione di una minore discrezionalità e arbitrio da parte delle commissioni, e prevedendo un sistema di multe, sanzioni e sospensioni per chi abusa”. Fermo restando che i comportamenti illegali vanno perseguiti, mi chiedo quali criteri dovrebbero usare le commissioni per non essere discrezionali, visto che i bibliometrici sono inficiati dall’opportunismo etc. Vogliamo abolire le commissioni e fare decidere le assunzioni da un algoritmo, ma con quali dati tale algoritmo opererebbe? Ma qui non proseguo perché la pars construens non è l’obiettivo.

Sono meravigliato che Il Sussidiario abbia pubblicato come oracolare un articolo così fuorviante, dove partendo dalla segnalazione condivisibile dell’articolo di Baccini etc. si degenera nel descrivere uno scenario falso della ricerca nell’università italiana. Si noti che l’esito di tale disinformazione non può che essere il contrario di quello desiderato da De Nicolao (sfatare che con meno finanziamenti stiamo facendo meglio e ridiscutere le regole dell’Anvur), ma quello di giustificare un ulteriore abbandono della nostra università, sentina di vizi e di malaffare mafioso.