E’ in pieno svolgimento la campagna elettorale per l’elezione del nuovo rettore dell’Università Bicocca di Milano. Il 6 maggio si sono chiusi i termini per la presentazione delle candidature: in lizza, cinque nomi – tre uomini e due donne -, che si sfideranno per prendere il posto di Cristina Messa, l’attuale rettore che resterà in carica fino al prossimo ottobre. Tra i candidati figura anche l’economista Giovanna Iannantuoni, esperta in “teoria dei giochi” e presidente della Scuola di dottorato della Bicocca. “La parola chiave del mio programma è reputation – spiega Iannantuoni -. Io penso che l’Università Bicocca per essere protagonista a tutti i livelli – milanese, regionale, nazionale e internazionale – è chiamata a fare competizione con gli altri atenei, sui fondi per la ricerca, sugli studenti, sul placement e su tanti altri fronti. E per affrontare adeguatamente questa competizione conta la reputazione, in primo luogo la reputazione della ricerca. E’ questo il cuore del mio programma: incentivare la ricerca. E questo obiettivo si può concretizzare attraverso le nove linee strategiche che propongo”.



Sulle strategie torneremo più avanti, entrando nel dettaglio. Ma la prima domanda è quasi d’obbligo: perché ha deciso di candidarsi?

Dopo un’approfondita riflessione personale, costruita sul dialogo con molti colleghi, ho deciso di candidarmi. Il mio obiettivo è aiutare lo sviluppo dell’Università Bicocca e dare una nuova energia e identità dopo vent’anni dalla sua fondazione. Quindi una Bicocca in cui vengano consolidati i risultati fin qui ottenuti, ma che punti in futuro a obiettivi ancor più ambiziosi, soprattutto sull’internazionalizzazione. E penso di essere la persona giusta per centrare questo traguardo.



Di cosa ha bisogno oggi, in primo luogo, l’Università Bicocca?

Ha bisogno di ripartire con uno slancio maggiore per compiere dei passi avanti che tutti reputiamo necessari dopo i brillanti risultati già ottenuti. E questo passaggio va affrontato in un clima di maggiore collaborazione e condivisione delle scelte, in un clima, anche dal punto di vista burocratico, meno opprimente.

Il suo programma si condensa in tre parole: innovare, semplificare, consolidare. In concreto?

Innovare è sicuramente il verbo, il concetto che più mi contraddistingue. Io voglio innovare le pratiche e gli obiettivi che il nostro ateneo si è finora dato: innovare la ricerca, la didattica, la mission, il rapporto con il territorio. Consolidare, cioè il terzo concetto, è appunto riconoscere e migliorare i risultati eccellenti che abbiamo ottenuto sotto tanti punti di vista.



E semplificare?

E’ legato al senso di oppressione burocratica che i colleghi, anche della struttura amministrativa, sentono di dover oggi sopportare sulle loro spalle. Bisogna alleggerire la burocrazia, il cui peso nell’accademia italiana è eccessivo, impedisce di realizzare determinati obiettivi, rallentandone i tempi e ingrossando i costi. La semplificazione è un’esigenza oggi molto sentita: vincere la farraginosità della burocrazia per liberare risorse e idee nuove, oggi offuscate da regolamenti oscuri e inefficienti. E’ un problema che attanaglia tutta l’Italia, ma nelle università è ancor più evidente: un po’ arriva dal ministero, un po’, essendo stati in Bicocca più realisti del re, ci siamo regalati da soli della burocrazia extra.

All’inizio accennava alla centralità della ricerca, all’insegna della qualità e dell’eccellenza. Come intende perseguirle?

La mia proposta sulla ricerca si basa su quattro punti chiave: connettere le persone, cioè seguendo le migliori best practices internazionali creare una mappatura degli interessi di ricerca degli individui; strutturare meglio la collaborazione tra dipartimenti; incentivare la presenza dei colleghi negli organi di governance europei; formare un Grants office e un Tecnology transfer office, cioè organi più proattivi che incentivino a creare delle sinergie, delle collaborazioni scientifiche, a livello individuale, di dipartimenti e anche internazionale.

Come si può migliorare il livello della didattica, adeguandolo alle nuove sfide?

Qualità e innovazione sono le parole chiave. Sotto il profilo dei contenuti, in un’ottica di competizione anche internazionale, la Bicocca deve capire dove deve posizionarsi, su quali eccellenze puntare, offrendo più contenuti innovativi, adatti ad attrarre gli studenti, e nuovi metodi didattici, investendo in infrastrutture e nella formazione dei docenti.

Nel suo programma si parla anche di governance e organizzazione. Dove si deve cambiare passo?

Sulla governance dobbiamo cambiare paradigma decisionale. Credo che il governo dell’ateneo debba rispondere a criteri di check and balance, con pesi e contrappesi, per avere una politica condivisa ed efficiente. In passato sono state prese decisioni di per sé positive, ma non essendo state condivise con gli attori che le dovevano implementare, non si sono radicate nella pratica quotidiana. Quindi serve maggior coinvolgimento, accorciando la distanza tra la governance e i colleghi. Occorre garantire condivisione e trasparenza attraverso vari meccanismi. Per esempio, il rettore ogni anno parteciperà a un question time all’interno dei singoli dipartimenti per rispondere alle domande.

La forza di un ateneo è ovviamente data anche dalle persone. In questo ambito che cosa pensa di fare?

Docenti, personale amministrativo e studenti fanno parte di una comunità. Per questo le politiche di welfare e di valorizzazione delle persone non possono essere trascurate. Bisogna dare alle persone giuste e legittime aspettative di carriera, con criteri che devono essere ancor più oggettivi e trasparenti. Accanto a questo, vivendo in tempi caratterizzati dall’arretramento del welfare pubblico, la Bicocca deve continuare a essere un luogo plurale, dove si sperimentano pratiche concrete di condivisione. E cito solo un piccolo esempio tra i tanti: il progetto Bambini Bicocca, il primo spin-off socio-culturale italiano, su cui intendo investire: un asilo nido, aperto al territorio, che risponde a un bisogno e aiuta a creare un’identità Bicocca molto forte.

Perché è per lei così importante rafforzare il rapporto con il territorio?

Perché l’università è un veicolo di crescita sociale ed economica per il nostro territorio. E’ una caratteristica che dobbiamo assolutamente mantenere. Inoltre, la ricerca di alto livello deve avere tra i suoi obiettivi la ricaduta sul territorio, attraverso i rapporti con le imprese. Anche qui dobbiamo investire di più. Già come presidente della Scuola di dottorato della Bicocca in tre anni abbiamo firmato 140 contratti di dottorato industriale e in futuro vorrei allargare questo modello a tutto l’ateneo, investendo anche su un campus più aperto al territorio.

Parliamo di internazionalizzazione. E’ una priorità?

Senza dubbio, non a caso è un altro punto cardine del mio programma. Avendo vissuto esperienze in quattro Paesi europei – Belgio, Francia, Spagna e Regno Unito – e negli Stati Uniti, ho maturato la convinzione che lo scambio con gli altri Paesi è fondamentale per la crescita della Bicocca. Quindi dobbiamo far parte, con un ruolo da leader, di network internazionali e lavorare con atenei prestigiosi, che nei ranking sono al nostro livello o addirittura migliori. Abbiamo tutti i numeri per ambire a questo traguardo, perciò dobbiamo spingere su questo punto.

Tutte le migliori idee per poter camminare hanno bisogno anche di risorse adeguate. In questi anni le università, per i noti problemi delle nostre finanze pubbliche, hanno subìto tagli e razionalizzazioni. Come si affronta il nodo dei finanziamenti?

Partiamo dal dato nazionale: l’Italia investe solo lo 0,4% del Pil in educazione universitaria. Siamo il fanalino di coda dell’Europa. Abbiamo bisogno di lavorare sul nostro bilancio, che è sano, ma va detto che senza la ricerca competitiva e la ricerca commissionata, cioè senza i fondi conquistati dai colleghi sul campo, oggi sarebbe in rosso. La sostenibilità finanziaria e l’uso strategico ed equo del bilancio è un punto fondamentale. Quando si investe, l’investimento va fatto in maniera credibile, guardando al bilancio nella sua interezza. Quindi il primo passo è: come migliorare il nostro bilancio, e in questo giocano un ruolo importante il rapporto con le imprese, con i privati, con il mondo del pubblico. La Bicocca, poi, deve giocare anche un ruolo più politico, facendosi promotore, in quanto ateneo importante di Milano e di tutta l’Italia, presso il governo, affinché vengano investite più risorse.

Rispetto ad altri candidati, a lei sta molto a cuore la questione dell’autonomia. Perché?

E’ un aspetto su cui non si può cedere ad alcun compromesso. La base, irrinunciabile, su cui poggia un’università pubblica è la sua indipendenza.  Quando è indipendente, un ateneo è credibile e ha la forza necessaria per essere un interlocutore anche sui tavoli della politica.

Su quale punto pensa che il suo programma si distingua di più da quello degli altri quattro candidati al ruolo di rettore?

E’ senz’altro l’accountability, che per me è decisiva. Quanto viene detto, deve poggiare su basi solide e credibili. Non si deve promettere la luna, ma le promesse devono essere credibili, realizzabili e realizzate.

(Marco Biscella)