Per affrontare i cambiamenti introdotti dalla Quarta rivoluzione industriale, è innegabile che nelle aziende si richiedano le professionalità idonee a questo scopo. Dal confronto europeo emerge come in Italia si sconti una carenza diffusa e generalizzata di laureati nelle aree Stem (scienze, tecnologie, ingegneria e matematica).
Il numero degli iscritti Stem in Italia è cresciuto negli ultimi 5 anni sia per gli uomini (+7,8%) sia per le donne (+6,9%). Tuttavia, dai primi dati parziali degli immatricolati 2020/2021 la crescita sembra essersi arrestata. Sono queste alcune delle evidenze che emergono dallo studio Il Gender Gap nelle lauree Stem: ricerca 2020, promosso da Assolombarda, nell’ambito del progetto STEAMiamoci, ed elaborato dall’Osservatorio Talents Venture, che approfondisce il fenomeno del gender gap e traccia un quadro sulla presenza femminile nei percorsi Stem a livello locale e nazionale.
In tema di gender gap, dopo il record fatto registrare nell’anno accademico 2017/2018, la crescita della percentuale di ragazze iscritte ai corsi Stem sul totale delle donne iscritte all’università si è arrestata e il valore è rimasto sostanzialmente invariato nel 2018/2019 (18,3%).
La Lombardia è il bacino principale di competenze Stem del paese, in quanto accoglie più del 17% dei laureati Stem nazionali.
Sebbene si debba fare di più per aumentare la partecipazione delle ragazze alle facoltà Stem, il nostro paese fa registrare un risultato parzialmente incoraggiante se confrontato con il resto dell’Europa. L’Italia, infatti, è nelle prime posizioni se si osserva la percentuale delle ragazze sul totale degli iscritti (uomini e donne) alle facoltà scientifiche: il 36% degli iscritti a corsi Stem è donna (la media europea è del 31%).
Tuttavia tali dati meritano delle precisazioni. Infatti, se è vero che vi sono tante donne nei corsi classificati come Stem, andando a guardare il dettaglio dei singoli corsi di laurea si scoprono delle aree in cui il gender gap è decisamente accentuato, come ad esempio i corsi in ingegneria elettronica e dell’informazione. In questi corsi solo il 20% è donna (contro il 37% di media per tutto il gruppo Stem): appare pertanto necessario non trascurare il potenziale effetto distorsivo che potrebbe avere il raggruppamento di tutti i corsi sotto la dicitura “Stem”. Infatti, alcuni corsi come ingegneria celano una scarsa partecipazione di ragazze che è “nascosta” da dati di trend opposto che si fanno registrare in altri corsi pur classificati come Stem.
Non bisogna quindi pensare che l’obiettivo della parità dei sessi nei corsi Stem sia raggiunto, ma occorre ancora puntare sulla sensibilizzazione delle donne sull’importanza di frequentare, non solo alcuni, ma tutti i corsi Stem.
Se mettere in campo delle corrette attività di orientamento potrà sicuramente aiutare a invertire il trend per i corsi Stem meno “gender balanced”, ciò in realtà non è sufficiente. Infatti, ulteriore e importante sfaccettatura del problema del “gender gap” risiede in quello che accade dopo la laurea, cioè all’ingresso nel mondo del lavoro. Secondo i dati Almalaurea, nonostante performance accademiche migliori, a un anno dalla laurea il tasso di occupazione degli uomini laureati nei corsi Stem (91,8%) è più elevato di quello delle donne (89,3%).
Stesso gap anche a livello salariale, dove laureati Stem uomini dichiarano un reddito mensile medio netto di circa 1.510 euro contro i 1.428 euro delle loro controparti femminili. Se ciò non bastasse, questo trend è costante e le donne sono rimaste sempre indietro agli uomini negli ultimi cinque anni senza lasciar intravedere alcun segno di miglioramento. Il gap occupazionale e salariale è un grave problema discriminatorio: un buon punto di partenza sarebbe rappresentato da una più capillare sensibilizzazione delle aziende che assumono questi professionisti e dalla stipula sempre più diffusa di “soft committments” in questo senso da parte del tessuto produttivo.
La strada per la parità è ancora lunga e bisogna continuare a monitorare gli avanzamenti realizzati su queste tematiche.