Per anni il/la contrattista di ricerca ha avuto un rapporto di lavoro molto atipico e soprattutto mal riconosciuto sia giuridicamente che economicamente. E sono decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori di Atenei, enti di ricerca e anche Afam che, in conseguenza della legge di conversione del Milleproroghe per i quali si devono definire i termini temporali per dare attuazione all’istituto del contratto di ricerca della legge n.79/2022, che ha abrogato l’assegno di ricerca, introducendo la figura del contratto di ricerca, un contratto biennale, rinnovabile una sola volta e sino a un massimo di quattro anni, tranne nel caso dei progetti europei, in cui possono essere rinnovati anche per un anno fino a un massimo di cinque. Il fine è di reperire risorse adeguate a riconoscere la nuova figura del contrattista di ricerca, «anche al fine di introdurla per le attività scientifiche e tecnologiche relative al Piano nazionale di ripresa e resilienza».



Il nuovo istituto del contratto di ricerca rappresenta un miglioramento, pur nel paradigma della flessibilità (recte, di precarietà) della carriera del giovane ricercatore,  da implementare al più presto nel sistema universitario italiano. Alle procedure per il conferimento dei contratti di ricerca, disciplinate per quanto attiene alle modalità di selezione con apposito regolamento adottato dalle istituzioni del comparto, possono concorrere solo coloro i quali siano in possesso del titolo di dottore di ricerca, ovvero siano in procinto di ottenerlo, entro i sei mesi successivi alla pubblicazione del bando pubblico. Per quanto riguarda i soli enti pubblici di ricerca, i contratti possono essere conferiti a chi, pur non avendo un dottorato di ricerca, sia in possesso di un adeguato curriculum scientifico-professionale.



Il legislatore ha inteso demandare alla contrattazione collettiva la definizione dell’importo del contratto di ricerca, in misura comunque non inferiore al trattamento iniziale spettante al ricercatore confermato a tempo definito. La nuova figura ideata dal legislatore può essere introdotta nel comparto universitario e negli enti pubblici di ricerca (Epr). In particolare, si deve notare come il personale docente e di ricerca delle Università non sia abitualmente soggetto a contrattazione collettiva, a differenza degli Epr: solo il personale tecnico-amministrativo e i tecnologi sono soggetti a contrattazione collettiva.



La figura del contrattista di ricerca si inserisce, quindi, in un ambito, per quanto riguarda l’Università, estraneo alla contrattazione, richiedendo pertanto la definizione nei suoi contorni di una disciplina nuova. Per analogia rispetto alla consolidata disciplina contrattuale negli Epr si ritiene che l’inquadramento più proprio cui ricondurre la figura del contrattista di ricerca sia quella del contrattista a tempo determinato, il cui trattamento economico e modalità di lavoro sono ricondotti a sua volta alla corrispondente figura a tempo indeterminato, che per il personale di ricerca è la figura del ricercatore o tecnologo, figura che può fungere da white canvas per la definizione della disciplina del contrattista di ricerca nelle Università.

In particolare, il contrattista di ricerca, rispettando così il dettato normativo poc’anzi richiamato, sarebbe ricondotto alla retribuzione tabellare del terzo livello degli Epr, prima fascia di anzianità, pari a 31.539,57 euro annui, cui aggiungere la tredicesima mensilità, ai sensi dell’accordo sottoscritto tra le parti sindacali e l’Aran del 6 dicembre 2022. La figura del contrattista, inoltre, beneficerebbe, al momento del rinnovo del contratto, dello scatto stipendiale per anzianità alla seconda fascia, giungendo a una retribuzione annua di 34.037,38 euro.

Per quanto attiene agli Enti pubblici di ricerca, che già dispongono della possibilità di bandire rapporti di natura flessibile e contratti a tempo determinato per ragioni specifiche, in analogia a quanto già tratteggiato per l’Università, si ritiene che il contratto di ricerca non faccia che estendere le attuali facoltà assunzionali in regime flessibile, prevedendo una nuova tipologia puntualmente richiamata in sede di Ccnl per specificarne i richiami normativi e, soprattutto, la durata vincolata. Un’urgenza dettata anche dalla necessità di usare le risorse a disposizione con i fondi Pnrr proprio per far partire questa nuova forma contrattuale al posto degli assegni di ricerca, dalla seconda tornata di Prin 2022 (quella Pnrr), con progetti esplicitamente previsti proprio per queste figure e quindi capienti. La permanenza degli assegni di ricerca ancora per diversi anni, magari affiancati da nuovi contratti altrettanto atipici e variabili nei diversi atenei, confermerebbe e anzi rilancerebbe il mondo di mezzo, con un ulteriore stratificazione e quindi una regressione delle condizioni e dei diritti nel lavoro di ricerca.

È ora di una svolta, e questa è possibile proprio a partire dal contratto di ricerca.

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