Università tradizionali e telematiche. Perché una guerra non ha senso“: questo è stato il punto di partenza attorno a cui si è ragionato oggi nell’aula Salvadori di Montecitorio (a Roma), prendendo come spunto il paper omonimo pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni e firmato da Marco Bassani, professore ordinario Università telematica Pegaso, e Carlo Lottieri, professore associato Università di Verona, presenti davanti al pubblico di curiosi ed esperti. Oltre ai due autori hanno presenziato con diversi interventi anche Alessandro De Nicola (socio di BonelliErede), Edoardo Ziello (deputato della Lega), Marco Perissa (deputato di Fratelli d’Italia e segretario della VII Commissione), Valeria Fedeli (ex Ministra dell’istruzione) e Luciano Capone (giornalista de Il Foglio).



L’obiettivo del papar era quello di analizzare il ruolo chiave degli atenei digitali nell’alta istruzione accademica, che (non avendo una struttura fisica di riferimento) sono una soluzione flessibile, accessibile ed adattabile, con un occhio sempre puntato all’innovazione e alla tecnologia, tutto messo al servizio di un apprendimento dinamico e moderno. Un invito a riflettere sulle politiche che permeano il sistema delle Università in Italia, dove quelle tradizionali godono di certe agevolazioni che per le telematiche diventano degli ostacoli che danneggiano gli studenti e l’innovazione.



I benefici delle università telematiche: il paper dell’Istituto Bruno Leoni

L’analisi che hanno svolto Bassai e Lottieri parte dello scontro infondato tra i due diversi sistemi universitari, cercando di porre l’attenzione soprattutto sui benefici delle bistrattate università telematiche, sia dal punto di vista della formazione, che degli studenti ed, ovviamente, di una società sempre più dinamica e globale, con un mercato del lavoro in costante movimento. Proprio tra studenti e lavoro si inseriscono le università telematiche, che offrono l’opportunità ai giovani lavoratori di proseguire la loro carriera senza rinunciare agli ormai necessari studi.



L’Italia, d’altronde, è il fanalino di coda dell’istruzione universitaria europea, superando per numero di laureati tra i 25 e i 34 anni solamente la Romania, che registra comunque risultati migliori dei nostri per le materie STEM (ovvero tutto ciò che è connesso alle scienze, all’ingegneria e alla  tecnologia ed alla matematica). Attualmente il numero di iscritti alle telematiche è di quasi 250mila studenti, mentre i giovani che non hanno proseguito gli studi con l’Università sono quasi 18 milioni: dati che segnando una doppia maggioranza nel Mezzogiorno dove, a causa proprio del basso numero di laureati, si registra un’elevatissima richiesta di capitale umano.

Bassani e Lottieri contro gli ostacoli alle università telematiche: “Irresponsabili e insensati”

Per affrontare le sfide dell’istruzione“, ha commentato Marco Bassani parlando dello stato delle università italiane con riferimento a quelle telematiche, “è fondamentale adottare un metodo innovativo che metta al centro la massima autonomia degli istituti“. Essenziale, in tal senso, “promuovere una cultura che valorizzi la competizione tra atenei tradizionali e telematici, così da arricchire l’offerta formativa e preparare gli studenti e i manager a un futuro sempre più dinamico e globale. Riconoscere il ruolo sociale delle telematiche“, sottolinea ancora Bassani, “significa rispondere alle aspettative di chi non ha potuto laurearsi in passato, di chi non ha le risorse per trasferirsi e di chi non può permettersi di studiare senza lavorare“, criticando la “fitta regolamentazione che ostacola qualsiasi tipo di innovazione“.

Gli fa eco il coautore dello studio Carlo Lottieri, che pone l’accento sul fatto che “che le società del futuro saranno caratterizzate da un costante ricorso alle università telematiche. In questo senso, va mantenuto un rapporto positivo con l’innovazione didattica, valorizzando le opportunità offerte dalla tecnologia“. Ritiene, inoltre, “irresponsabile” la scelta di “contrastare soluzioni didattiche innovative“, unendosi all’appello del collega a “premiare il valore e la competenza, anziché limitarsi a favorire un’unica modalità di insegnamento. Sarebbe un errore“, conclude, “obbligare gli atenei telematici ad assumere centinaia di nuovi docenti” che oltre a non essere “in alcun modo impiegabili“, obbligherebbero le università telematiche “ad alzare considerevolmente le rette“.