Con la recentissima decisione di Donald Trump di rimuovere più della metà dei dipendenti del Dipartimento dell’Istruzione federale – oltre alla minaccia di chiuderlo definitivamente -, unitamente agli importanti tagli nei fondi destinati alle università e alla ricerca accademica, si apre ad un futuro incerto per il sistema universitario statunitense tra i più costosi al mondo – ovviamente a discapito degli studenti che cercano un futuro economicamente più florido -, nonché tra i meno sovvenzionati: proprio l’aspetto economico delle università americane è finito al centro di una recente analisi condotta dalla Data Room di Milena Gabanelli per il Corriere della Sera; comparato a quello degli atenei europei che – invece – sono tra i più economici.
Per capire gli effetti della (potenziale) chiusura del Dipartimento dell’Istruzione è importante partire dalla precisazione che si tratta di un’agenzia dedicata ed erogare fondi per gli studenti meno abbienti che vogliono frequentare le università sul modello – per esempio – delle nostrane borse di studio regionali: nel 2023 – rileva Gabanelli – il Dipartimento federare statunitense ha erogato in totale 31 miliardi di dollari a 6,5 milioni di studenti con il suo programma ‘Pell Grant’ che garantisce massimali di oltre 7mila dollari; parzialmente supportate anche dalle borse private (destinate all’11% degli studenti con 8,2 milioni di dollari totali), dai fondi statali e da quelli garantiti da atenei e fondazioni private.
I dati economici di confronti tra le università europee e quelle USA: le ragioni dietro ai tagli al Dipartimento dell’Istruzione
Un tema – insomma – non irrilevante perché seppur sia vero che il Dipartimento dell’Istruzione garantisca 31 miliardi per gli studenti con redditi bassi, d’altra parte è importante ricordare che la rata massima (appunto, i 7mila dollari citati prima) è in grado di coprire appena il 31% delle spese utili per frequentare le università: il nodo dell’analisi di Gabanelli è proprio questo, le profonde differenze tra i costi degli atenei americani e di quelli europei; fermo restando innanzitutto che mentre in UE gli studenti sono 18,8 milioni aumentati negli ultimi anni, negli USA sono 18,6 milioni in costante diminuzione.
Sul piano economico, le università europee variano largamente in base al paese con rette negli atenei pubblici che oscillano tra gli 0 euro (in realtà come i paesi del Nord, ma anche Austria, Grecia e Malta) e i 3mila (in paesi come l’Italia, ma anche l’Olanda e l’Irlanda) che diventano anche 25mila se si guarda alle grandissime realtà private come la prestigiosa IE di Madrid.
Oltre oceano le rette minime nel sistema pubblico sono in media di 11mila euro che già salgono a 30mila se lo studente è costretto a cambiare stato, con le private che raggiungono medie di 43mila che salgono fino ai 93mila massimi della prestigiosa Columbia di New York.
A fronte di questi dati economici sulle università, è interessante notare che mentre in Europa – a fronte di costi decisamente inferiori – si contano realtà (come la già citata Olanda, ma in misura leggermente minore anche la Danimarca e Malta) in cui la quasi totalità degli studenti riceve sovvenzioni per studiare – e in Italia sono il 39% degli studenti a riceverle.
Negli USA ad oggi si contano quasi 43 milioni di studenti indebitati con le banche dopo aver chiesto prestiti universitari, con un totale di passivo pari a 1.600 miliardi attualmente da rimborsare: soldi che finiranno nelle tasche dello Stato e che rendono (forse) più evidenti le ragioni dietro alla scelta di tagliare l’erogazione di borse a fondo perduto da parte del Dipartimento dell’Istruzione.