Il pensiero woke infetta anche il mondo accademico. In seguito all’irruzione di un collettivo studentesco nel Senato accademico per sollecitare un confronto sulla lettera di 1.700 docenti che hanno chiesto lo stop al bando per progetti di ricerca scientifica nell’ambito della cooperazione tra istituzioni italiane e israeliane, l’Università di Torino ha deciso di bloccare la partecipazione. Nonostante analoghe pressioni studentesche, l’Università di Pisa non ha voluto seguire la stessa strada. E ha fatto benissimo.



Se infatti è più che lecito che si tengano manifestazioni di ogni genere per sollevare un problema o protestare contro un vero e proprio genocidio come quello di Gaza (checché se ne dica), è del tutto improprio e scorretto che istituzioni dell’educazione come le università si interpongano negli accordi di collaborazione scientifica tra Governi, perché questo modo di agire non può che creare una moderna Torre di Babele, come hanno correttamente fatto rilevare la presidente Meloni e la ministra Bernini.



Questo in generale. Al massimo si potrebbero rivolgere ai rispettivi ministeri o permettere ai docenti di svolgere una eventuale moral dissuasion a partecipare. Anche perché l’università non dovrebbe avere un pensiero “proprio”, dovrebbe invece essere il luogo in cui si coltiva la cultura del senso critico e del pluralismo delle idee.

L’obiezione mossa dagli studenti è che alcuni progetti potrebbero portare a finalizzazioni di carattere militare. Ora, il bando in questione prevede tre aree di ricerca: 1) Technologies for healthy soils (i.e. – novel fertilizers, soil implants, soil microbiome etc.); 2 ) Water technologies, including: drinking water treatment, industrial and sewage water treatment and water desalination; 3) Precision optics, electronics and quantum technologies, for frontier applications, such as next generation gravitational wave detectors.



Si evince che sarebbe sufficiente partecipare con progetti di ricerca inerenti solo ai primi due punti, che riguardano oltretutto tematiche di grande utilità per i civili.

Ci si dovrebbe quindi domandare perché l’Università di Torino non protesti per il fatto che l’Italia è ai primi posti nel mondo nella vendita di fucili classici e mitragliatori, pistole, elicotteri, navi da guerra, siluri, bombe, razzi, missili e relativi sistemi di puntamento di eccezionale precisione. Per un ammontare di oltre 15 miliardi di dollari, ricavati per due terzi da Asia e Africa. Oppure per il fatto che l’Italia ospita 120 basi militari americane…basi di un Paese che direttamente o indirettamente ha scatenato diverse guerre che hanno destabilizzato gravemente la pace in diversi quadranti dell’orbe terraqueo. Per non parlare dei recentissimi accordi con un Paese non democratico come l’Egitto

Quanto alle patenti di democrazia date a questo o a quel Paese sarebbe meglio andarci cauti, perché per un motivo o per l’altro “il più pulito ha la rogna”, come si dice a Roma.

Sarebbe assai più opportuno che l’università coltivasse maggiormente lo studio e la ricerca, favorendo tra gli studenti dibattiti e dialogo tra posizioni diverse, invece di ergersi a censori in forme che si rivelano semplicemente autolesionistiche.

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