Uno degli incontri proposti dall’Associazione Euresis al Meeting 2023 si intitola Universo vivo. Indagine scientifica e senso della natura e vede la partecipazione di Giorgio Dieci, professore ordinario di biologia molecolare nell’Università degli Studi di Parma e Marco Bersanelli, professore ordinario di astrofisica nel Dipartimento di Fisica dell’Università di Milano (oggi alle 13 in Sala Neri).



L’anno scorso, novembre 2022, i due relatori hanno dialogato sul tema durante l’International Book Fair di Sharjah, negli Emirati Arabi Uniti, uno degli appuntamenti più importanti del settore, dove una delegazione del Meeting è stata invitata a presentare l’esperienza riminese. In quell’occasione Dieci e Bersanelli hanno partecipato al convegno dal titolo Faith and Science durante il quale hanno dialogato con la cultura islamica, così diversa dalla nostra, utilizzando un terreno e un linguaggio che in realtà hanno molti aspetti comuni, il linguaggio della scienza. Anticipando l’incontro del Meeting 2023 il professor Dieci risponde ad alcune domande.



Qual è la genesi di questo incontro?

Nell’ambito della presentazione dell’esperienza del Meeting, gli organizzatori della International Book Fair si sono mostrati particolarmente interessati al dialogo in un ambito scientifico in cui si potesse esplorare il rapporto tra il mondo naturale e l’aspetto religioso, che nel contesto islamico è particolarmente sensibile. L’idea è stata quindi quella di proporre un percorso che parte dalle modalità con cui l’uomo entra in rapporto con il mondo naturale, perché si tratta di temi universali, attraverso i quali è possibile dialogare anche con una cultura molto diversa dalla nostra.



Perché questo titolo?

La categoria del senso e del significato tende ad essere espulsa da ciò di cui si occupano le scienze naturali. Il filosofo Robert Spaemann, nell’introduzione alla sua opera Fini naturali, parla di un “pregiudizio divenuto caro alla scienza, il pregiudizio che il senso sia una variante del non-senso, che la ragione sia una variante della non-ragione”. Secondo il sentire più diffuso solo all’uomo si può riferire una dinamica di interpretazioni dei segni e di riconoscimento del significato a cui essi rimandano. Ma ciò è vero? In realtà nel mondo biologico non si può inquadrare in modo razionale nessun organismo, neanche quelli più semplici, prescindendo dalla presenza di segni e interpretazioni.

Da dove nasce questa riflessione?

Questo è evidente per gli animali, per constatarlo basta un minimo di familiarità con un animale da compagnia, o un po’ di attenzione ai movimenti e al canto degli uccelli sugli alberi di fronte a casa. Ma anche un albero in fiore che rilascia molecole volatili dirama segnali nell’aria, i cui significati sono diversi per i diversi esseri viventi che li percepiscono. Anche un semplice microorganismo unicellulare, non considerato astrattamente come insieme organizzato di dispositivi molecolari, ma visto più realisticamente come vivo e in azione nel suo ambiente, è sede di una continua interpretazione di un sottoinsieme selezionato di variabili chimico-fisiche del contesto naturale in cui si trova (luce, temperatura, concentrazioni di possibili nutrienti, o di molecole-segnale rilasciate da altri microorganismi), variabili che insieme contribuiscono a definire quello che potremmo chiamare il mondo di quell’organismo.

Che percorso proponete al pubblico del Meeting?

Già nell’esperienza sensoriale l’essere umano, ma anche l’animale, deve interpretare un segnale che arriva dall’esterno, attribuire a esso un significato e muoversi di conseguenza. Più esattamente, a ben vedere, non c’è mai una informazione precostituita che proviene dall’esterno e viene poi internalizzata attraverso la percezione sensoriale. Piuttosto, c’è un darsi a vedere della natura, il germogliare di un significato nell’incontro fra un interprete e un segno che sono presupposto l’uno dell’altro. Una dinamica simile può essere riconosciuta anche a livello cellulare e addirittura molecolare. D’altra parte il fenomeno della vita non può prescindere dai costituenti fondamentali della materia, gli atomi che hanno alle spalle una storia cosmica, dalla formazione delle strutture all’evoluzione stellare, alla formazione planetaria. Non c’è soluzione di continuità: il fenomeno naturale della vita, che, citando Giorgio Prodi (1928-1987) è un “incessante imperativo reperimento di senso”, per esistere ha avuto bisogno della storia dell’Universo intero.

Questo sguardo al mondo naturale ha delle conseguenze.

L’esito di questa grande storia è la coscienza umana, che quindi è rivelatrice anche della natura dei suoi antecedenti. È come se anche l’atomo stesso, la materia con la sua struttura e le leggi sottostanti, acquisisse una nuova luce perché essenziale al fenomeno della vita. Come scrisse il filosofo Hans Jonas (1903-1993), “visto che la materia ha dato notizia di sé così (…) il pensiero dovrebbe renderle giustizia e attribuirle la possibilità di ciò che ha fatto come insita nella sua essenza iniziale”. Credo che dovremmo lasciarci provocare dall’ipotesi che la natura non sia un gigantesco meccanismo neutro da cui improvvisamente scocca la scintilla del senso e della coscienza, ma che la dinamica del segno sia costitutiva della natura stessa. Una conseguenza di questo possibile nuovo sguardo è un modo nuovo di affrontare una delle grandi crisi del nostro tempo, la crisi del rapporto uomo-natura.

Come cambia allora la visione di tale rapporto?

Se si rimane a una visione della natura come meccanismo connotato unicamente dal proprio auto-mantenimento, allora l’uomo stesso tende a concepire tutta la natura e anche sé stesso come meri prodotti del meccanismo, e a ridurre il proprio ruolo nel mondo al controllo del meccanismo stesso, magari con regole utili e adeguate al suo funzionamento, ma prive di una prospettiva adeguata alle aspirazioni ultime dell’uomo stesso e, attraverso l’uomo, dell’intera natura. Se invece il legame tra l’uomo e la natura è al livello di profondità che stiamo cercando di intravedere, allora è innanzitutto da un cambiamento dello sguardo dell’uomo sulla natura, e quindi su se stesso come parte della natura, che ci si può attendere una soluzione della crisi, come d’altronde suggerisce anche Papa Francesco nella Laudato Si’, per esempio quando riferisce queste parole del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I: “È nostra umile convinzione che il divino e l’umano si incontrino nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta”.

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