«Non posso chiedere scusa, troppo rispetto di chi ho ucciso: con quale coraggio potrei farlo»: sono parole molto forti quelle di Fabio Savi, uno dei killer della Uno Bianca, a quasi trent’anni dalla scia di sangue lasciata dalla banda operante tra il 1987 e il 1994 in Emilia Romagna. 103 azioni criminali tra rapine e aggressioni, 24 persone uccise e 102 ferite: questi sono solo alcuni dei numeri della criminosa banda illegale a bordo della famosa Uno BIanca: a parlare in una lunga lettera scritta oggi al Resto del Carlino è uno di quei protagonisti come Fabio Savi, oggi in carcere a Bollate (Milano) a scontare la pena dell’ergastolo. Il giorno non è casuale visto che proprio oggi esce il libro autobiografico “Vuoto a perdere” della ex compagna Eva Mikula.
«Si chiede scusa se si pesta inavvertitamente un piede, ma con quale coraggio potrei chiedere scusa a chi ha perso una persona cara», scrive Savi, condannato al “fine pena mai” come gli altri due fratelli Alberto e Roberto. Nella lunga lettera fatta pervenire dal suo avvocato ai giornalisti del Quotidiano Nazionale, Fabio Savi scrive «In questi 27 anni ho compiuto un lungo e difficile percorso rivedendo quotidianamente il mio passato e il dolore causato. Ed è vero che non ho mai chiesto scusa ma con quale coraggio?». Uno degli assassini della Uno Bianca sottolinea ancora tutta la piena consapevolezza del male generato e proprio per questo «Nonostante sia consapevole di quale beneficio porterebbe una lettera di scuse contenuta nel mio fascicolo, che questa fosse accolta o no dai destinatari non riesco ad accettare che sentite scuse possano apparire puramente strumentali al fine di ottenere benefici».
LA REPLICA DEI FAMILIARI DELLE VITTIME
Per questo motivo – si legge in un altro passaggio della lunga lettera al Resto del Carlino – Savi aggiunge «provo profondo rispetto, non scriverò quella lettera fino a quando la stessa potrà apparire meramente strumentale. Questo nei confronti di chi ha sofferto e di chi soffre ancora anche a causa mia». Oltre alla lettera, il vero problema è “riscrivere” la vita e quella purtroppo non si può fare, osserva il carcerato: «non si può cancellare il passato. Diversamente lo farei all’istante per tanta gente e per me stesso. Ma visto che si parla di me a distanza ormai di 30 anni, ritengo forse giusto che lo si faccia per l’uomo che sono ora. Un uomo che si è macchiato di gravissimi delitti, ma che si è assunto le proprie responsabilità e senza ipocrisie sta cercando di espiare con dignità la propria pena».
Non sembra affatto essere concorde con quell’autobiografia uscita oggi della sua ex compagna, tanto che nella missiva Fabio Savi osserva «chiedo rispetto per tutte le persone coinvolte in questa brutta storia, che meriterebbero un dignitoso silenzio invece di tanto disgustoso sciacallaggio». È comunque durissima la reazione della presidente dell’associazione familiari delle vittime, Rosanna Zecchi, che a Repubblica sottolinea «Per me Fabio Savi è un assassino, ha ucciso mio marito e 23 persone, io di lui non ne voglio sentire parlare. Non se ne può più, è uno stillicidio. Ci lasciassero un po’ in pace». In una breve chiacchierata telefonica la vedova a Rep aggiunge di non voler commentare altro su Savi, dato che per lei è e resta un assassino: «Io con gli assassini non ci parlo e non ne voglio neanche sapere. Tutte le volte che c’è una commemorazione, a Natale o a Pasqua saltano fuori con le uscite dal carcere, i permessi premio: veramente non se ne può più. Ormai è ora di finirla, dopo 30 anni non so perchè lui scriva tutte queste lettere. Ma non mi interessa niente, io con lui non dialogo. Per me rimarrà quello che ha ucciso mio marito, rimarrà un assassino per la vita».