«Anche uno pulito deve dimettersi se è sospettato»: secondo molti è con questa frase del 2016 che viene dimostrato plasticamente il cortocircuito del giustizialismo M5s, in particolare del ministro Alfonso Bonafede. Come vi abbiamo raccontato, ieri il Senato ha respinto la mozione di sfiducia contro il ministro della Giustizia: il Governo ha tenuto botta grazie a Matteo Renzi, considerando che sono stati i voti di Italia Viva ad evitare la sfiducia all’esponente grillino.
Ma torniamo a quella frase di quattro anni fa. Quelle parole sono state pronunciato dallo stesso Guardasigilli in un’intervista rilasciata ai microfoni di Repubblica e molti protagonisti della politica le hanno tirate fuori per dimostrare l’incoerenza del ministro pentastellato, ora tutt’altro che intento a lasciare la poltrona. La presa di posizione più netta è arrivata da Emma Bonino: «Signor ministro, il sospettato è diventato lei ed a diffondere il sospetto è stato un magistrato a cui lei aveva proposto incarichi importanti, in uno scontro tutto interno al partito a cui lei appartiene».
BONAFEDE ED IL CORTOCIRCUITO DEL GIUSTIZIALISMO M5S
Oltre Emma Bonino, ovviamente, diversi altri partiti di opposizione hanno messo in risalto l’incredibile cortocircuito del giustizialismo grillino, basti pensare all’attacco di Giorgia Meloni: «Bonafede nel 2016 affermava che bisognava dimettersi anche per semplici sospetti. Che aspetta allora ad andare a casa? L’ipocrisia pentastellata non ci stupisce più, ma spiace per gli italiani delusi dalle loro false promesse. FDI al loro fianco per rappresentarli dignitosamente».
Il giustizialismo M5s ha subito l’ennesimo duro colpo, che segue le batoste del recente passato che hanno spinto il Movimento a rivedere la posizione sul tema degli avvisi di garanzia, come evidenziato da Stefano Cappellini su Repubblica. L’arrivo dei primi avvisi di garanzia ad esponenti M5s è risultato «l’evento che ha fatto imbattere i vertici grillini nella conoscenza del principio costituzionale della presunzione di innocenza».