Scommetto che ci state facendo l’abitudine a queste righe sugli eventi atmosferici in qualche modo disastrosi. Questa estate non è certamente stata avara di spunti di discussione su eventi estremi che possono avere qualche relazione con i cambiamenti climatici (alluvioni, ondate di calore, incendi, ecc.). Non potevano mancare le tempeste tropicali che vanno sotto il nome di uragani sull’Oceano Atlantico, tifoni sull’Oceano Pacifico e cicloni sull’Oceano Indiano: sono diverse denominazioni per indicare lo stesso tipo di fenomeni a grande scala che colpiscono tanti paesi e soprattutto le loro zone costiere. L’ultimo nato di questa vasta categoria di eventi estremi è l’uragano Ida che ha colpito i Caraibi, il Venezuela, il Golfo del Messico, la Louisiana fino raggiungere New York e il New Jersey.



Innanzitutto chiariamo di cosa stiamo parlando perché dobbiamo sapere chi abbiamo di fronte. Cos’è un “uragano”? Un uragano non nasce come tale: nasce come “tempesta tropicale” (tropical storm) che si forma da un disturbo pressorio dovuto a un’onda nella circolazione atmosferica tropicale o a un gruppo particolarmente intenso di temporali. Affinché questi disturbi crescano fino a diventare un ciclone tropicale vero e proprio debbono verificarsi le seguenti condizioni:



1. Acque dell’oceano molto calde (almeno 27°C) per una profondità di circa 8 m.

2. Atmosfera instabile indotta da differenze di temperatura dalla superficie oceanica fino ad alta quota.

3. Aria molto umida ai livelli medi dell’atmosfera.

4. Il disturbo pressorio si deve trovare almeno a 320 km a nord o a sud dell’equatore per consentire la rotazione su se stesso (effetto di Coriolis: vedere 1 e 2).

5. Il vento deve cambiare molto poco in velocità e direzione con l’altezza (shear verticale del vento praticamente inesistente).

Ecco perché gli uragani si formano in acque tropicali e non ad alte latitudini. Occorrono, in buona sostanza, calore dal mare tropicale e atmosfera umida e molto poco disturbata: è la zona dei venti alisei che Cristoforo Colombo usò nel suo viaggio verso il Nuovo Mondo. Sì, ma siamo ancora alla tempesta tropicale e l’uragano non è ancora classificabile come tale. Queste condizioni debbono perdurare nel tempo e allora la tempesta si intensifica nel suo transito sulla superficie oceanica. Ecco allora entrare in azione la scala di classificazione di intensità di questi mostri meteorologici tropicali: la scala di Saffir-Simpson. La scala è utilizzata dalle autorità preposte al monitoraggio e si basa sulla velocità del vento a 10 m sulla superficie della Terra. Sentiamo allora parlare di uragano di categoria 3, 4 o 5 (quest’ultimo è il massimo, con velocità del vento superiori a 252 km/h). L’ente che è preposto a monitorare l’attività degli uragani sull’Atlantico è il National Hurricane Center (Nhc) di Miami in Florida. Per i tifoni è competente il Joint Typhoon Warning Center (Jtwc) della Marina statunitense e altri centri in Giappone e altrove. Gli uragani e i tifoni, poi, hanno sempre un nome (Hugo, Ida, Katrina, Alberto, ecc.). Perché? Il motivo è di renderli tracciabili facilmente da tutti, inclusi i media e il pubblico. Quando ci dicono che un uragano con un certo nome è attivo, possiamo infatti seguirlo sulle carte e le immagini dei satelliti molto facilmente, tutto qua.



Bene, abbiamo capito di che sistemi meteorologici si tratta. Ora veniamo alla considerazione clou: questi eventi sono sempre esistiti e hanno sempre provocato enormi danni. Stiamo parlando di fortissimi venti, piogge torrenziali, tsunami, alluvioni bibliche, forti temporali a grande scala spesso accompagnati da tornado e altro ancora. Tutto ciò è “normale” per le zone interessate da questi fenomeni. Abbiamo infatti una certa familiarità con effetti degli uragani sui Caraibi, l’America Centrale, gli Stati Uniti Meridionali e la costa est degli stessi. Quindi, nulla di anormale in quanto sta succedendo in tempi recenti con grandi uragani di categoria 4 o 5 che hanno effetti disastrosi?

La domanda sorge spontanea a seguito di quanto è successo nei giorni scorsi a seguito del transito di Ida sulla Louisiana e su fino a New York e New Jersey con estesi allagamenti, circa 60 persone che ci hanno rimesso la vita e danni ingentissimi alle infrastrutture. Era parecchio tempo che non vedevamo New York sott’acqua a causa di piogge intense come queste.

Cosa sta succedendo? È tutto “normale”, cioè nei limiti di una stagione degli uragani del tutto entro una normalità di eventi estremi che succedono con ricorrenza assai alta, oppure c’è lo zampino dei cambiamenti climatici? Si può dare una risposta a questa domanda che ormai tutti si fanno appena c’è una pioggia più intensa del normale o un’ondata di calore come quella di questa estate? Il riscaldamento globale sta mutando intensità e frequenza degli uragani oppure è tutto secondo le normali leggi della natura che stabiliscono che c’è una stagione degli uragani all’interno della quale può succedere di tutto? Le domande, in realtà, sono due e l’una non esclude affatto l’altra. Vediamo di capire il più possibile.

La prima domanda è: gli uragani stanno diventando più frequenti nel tempo? Parlando in termini del tutto generali, se abbiamo a disposizione più calore a causa del riscaldamento globale, la probabilità di sviluppo di uragani dovrebbe aumentare, giusto? Cosicché dovrebbe essere ragionevole che, continuando l’immissione in atmosfera di gas serra, la probabilità che si verifichino uragani dovrebbe aumentare.

Questo è sicuramente vero, ma il sistema natura è assai più complicato di così. Ciò che osserviamo in realtà è che la frequenza degli uragani o diminuisce oppure rimane praticamente inalterata. Addivenire a una tendenza non ambigua sul numero dei cicloni tropicali è complicato perché i dati si riferiscono solo all’era dei satelliti meteorologici, cioè circa 60 anni. Dal 1985, comunque, si osserva una media molto auto consistente di circa 80 cicloni tropicali all’anno, con una variazione da un minimo di 65 a un massimo di 90. Dagli studi più recenti non emerge nessun segnale di modifica della frequenza degli uragani dovuta ai cambiamenti climatici in atto come emerge dal grafico del numero di uragani sull’Atlantico del Nhc che vediamo di seguito. Si notano variazioni annuali con picchi anche rilevanti, ma non una tendenza all’aumento del numero dei fenomeni.

Conteggio delle tempeste tropicali sull’Oceano Atlantico suddivise per tempeste a cui è stato attribuito un nome (giallo; le tempeste a cui è applicabile la scala di Saffir-Simpson), tutti gli uragani (rosso) e gli uragani più intensi (viola). [fonte National Hurricane Center]

Veniamo ora alla seconda domanda: sta crescendo l’intensità (la forza) del singolo uragano? Studi recenti hanno suggerito che in effetti sembra esserci un aumento degli uragani più intensi (categoria 4 e 5). Tale crescita sembra attestarsi su un aumento del 20-30% di intensità per ogni °C di aumento della temperatura causato dall’immissione di gas serra in atmosfera. Allo stesso tempo, sembra esserci una corrispondente diminuzione degli uragani più deboli (categoria 1 e 2). Un ulteriore risultato indica anche che il riscaldamento globale sembra aumentare la rapidità con cui gli uragani si intensificano: insomma, diventano più intensi in meno tempo.

E la pioggia? Piove di più dagli uragani ai nostri giorni? Maggiore disponibilità di calore significa in generale che l’atmosfera immagazzina più vapore acqueo e quindi la precipitazione dovrebbe aumentare. Per ogni °C l’atmosfera immagazzina il 7% in più di vapore. L’effetto di aumento della precipitazione, però, non è generalizzato, ma si traduce in un aumento limitato agli eventi più estremi, uragani compresi. Gli studi hanno dimostrato che la convergenza di umidità nelle tempeste non induce soltanto un aumento della precipitazione, ma anche, per certe tempeste, una maggiore intensità e velocità di crescita. Si parla di un aumento di intensità di precipitazione di un fattore intorno a 5. Kerry Emanuel del Mit sintetizza molto efficacemente il risultato degli studi recenti: “C’è un forte consenso nella comunità scientifica che si occupa di cicloni tropicali sul fatto che l’incidenza di eventi ad alta intensità crescerà e che questi eventi meteorologici produrranno più precipitazione”.

A questo punto il nostro ragionamento va nella direzione di capire se siamo o meno preparati a questo scenario a metà tra il “normale” e lo “straordinario”. Se 60 persone sono morte a causa del solo uragano Ida degli ultimi giorni, evidentemente il problema della preparazione della popolazione non è completamente risolto. Ovviamente 60 persone non sono neanche lontanamente paragonabili con le 1.883 persone morte in occasione dell’uragano Katrina dell’agosto del 2005 o, peggio ancora, le 19.325 dell’uragano Mitch dell’ottobre-novembre 1998.

Dov’è il problema? Occorre capire perché le persone muoiono e poi si pensa a istruire meglio la popolazione e a migliorare le infrastrutture colpite. Nel grafico successivo si vede come ben 88% dei morti sia da attribuire a effetti dell’acqua. Quindi, occorre essere ben preparati in termini di costruire bene e lontano dai corsi d’acqua che possono esondare, badando bene ai pericoli degli tsunami sulle coste e altro ancora. Se la zona è a rischio alluvione, dobbiamo imparare che è importante mettersi in salvo su terreno elevato possibilmente lontano da fiumi, torrenti e invasi acquiferi. In buona sostanza, la natura produce queste tempeste e tocca a noi difenderci costruendo bene e imparando per bene le procedure di protezione civile necessarie. La diminuzione delle morti in tempi recenti a causa degli uragani sta a dimostrare che l’adozione di buone pratiche di protezione civile fa la differenza.

 

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