Due cittadini serbi colpiti da gravi malattie tumorali avevano una quantità di uranio impoverito nel sangue simile a quella rilevata in molti ex militari italiani che hanno prestato servizio nelle missioni in Bosnia, Kosovo, Iraq e Afghanistan e nei poligoni Nato. Di questi, almeno 400 soldati sono morti, mentre oltre 8mila si sono ammalati gravemente. Ora però spunta un nuovo documento che mostra come anche i civili serbi, oltre ai soldati italiani, siano stati esposti all’uranio impoverito a causa dei bombardamenti Nato che ci sono stati nel 1999 in occasione dell’operazione militare contro la Repubblica federale jugoslava guidata da Slobodan Milosevic. Si tratta delle perizie della dottoressa Rita Celli, che da 15 anni supporta l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, consulente legale dell’Associazione Nazionale Vittime dell’uranio impoverito.
Gli esami svolti presso i laboratori del dipartimento di biotecnologie molecolari dell’Università di Torino rappresentano una svolta fondamentale per le cause intentate in Serbia contro la Nato, ma anche la conferma della correlazione tra civili e militari serbi e italiani colpiti dall’uranio impoverito: solo in Serbia le vittime sono decine di migliaia. «Ho acquisito il materiale biologico da sottoporre a indagine di laboratorio direttamente dalle vedove dei due cittadini serbi: un ufficiale della milizia serba e un civile. Entrambe mi hanno fornito anche gli indispensabili dati tecnici», ha dichiarato la dottoressa Rita Celli nei giorni scorsi a Il Manifesto. Nei prossimi mesi dovrebbero arrivare altri risultati di ulteriori analisi su matrici biologiche di militari e civili serbi.
“CORRELAZIONE TRA URANIO E TUMORI ANCHE PER SERBI”
«I risultati che mi sento di predire saranno purtroppo di conferma, permetteranno di dimostrare la correlazione tra l’impiego di armamenti DU-core, ovvero contenenti uranio impoverito nei penetratori, e lo sviluppo di un numero abnorme di patologie neoplastiche nella popolazione serba, sia civile, sia militare», ha aggiunto l’esperta. Mentre la Nato fa sapere tramite una memoria all’Alta corte di Belgrado che non parteciperà ai processi reclamando la sua immunità, in Italia il Ministero della Difesa, secondo la dottoressa Rita Celli, «si troverà costretto ad affrontare le proprie responsabilità». Con i risultati sulle matrici dei due cittadini serbi morti per gravi patologie tumorali si ha la «conferma diretta che il drammatico bioaccumulo di metalli pesanti ha avuto, ha tutt’ora, e avrà nell’immediato futuro, una pesante ricaduta sulla salute della popolazione militare italiana immessa in teatri operativi fuori area e/o impiegata in poligoni dove i test di armi non convenzionali, da sempre, sono pratica quotidiana».
Questo lavoro ha fatto eco fino in Serbia, dove è stata intervista Ksenija Tadić, che aveva 24 anni quando sono cominciati i bombardamenti Nato. Lei è una delle due malate di cancro esaminate dalla dottoressa, da cui è emerso un livello di uranio impoverito 500 volte superiore a quelli normali. Tutto è cominciato con un cancro alla pelle, ora ha 16 diagnosi nella sua cartella clinica, tra cui danni alla colonna vertebrale e alle anche, ictus, infarto. La dottoressa Rita Celli, secondo quanto riportato da Novosti, ha esaminato anche il campione del colonnello Dragan Stojičić di Belgrado, il quale ha trascorso 200 giorni nella cintura dell’odierno confine amministrativo con la Repubblica del Kosovo. Si è ammalato di cancro al peritoneo e nel frattempo è morto. Ma lo scorso giugno aveva intentato la prima causa di risarcimento per malattia causata dai bombardamenti della Nato, e dopo di lui la famiglia porta avanti la battaglia legale. L’udienza si terrà il 16 ottobre e le conclusioni della dottoressa saranno allegate alla documentazione.