Il caso Moro, l’attentato a Papa Wojtyla e poi ancora la cattura dei terroristi fuggiti in Francia: le ultime settimane hanno fatto riaffiorare ancora una volta quanto dei “misteri italiani” dello scorso Novecento ancora restano in cima alle cronache nazionali, spesso causa di mal celate verità e purtroppo anche di improvvisati “complotti” non sempre veritieri. Quanto però ha raccontato a Repubblica lo scorso 19 maggio l’ex tesoriere del Pd nonché attuale senatore Luigi Zanda ha qualcosa di più della semplice “spy story” e potrebbe aprire effetti e scenari tutt’ora inesplorati: «Quando il presidente Mattarella dice che sul terrorismo italiano ci sono “ombre, spazi oscuri, complicità non pienamente chiarite” esprime uno stato d’animo condiviso da moltissimi italiani. E allora è necessario domandarsi: dove dobbiamo guardare per arrivare a una verità più completa, che integri le acquisizioni giudiziarie e parlamentari?», si chiede l’ex assistente politico di Francesco Cossiga.
Era in un osservatorio “privilegiato” negli anni bui delle Brigate Rosse, seguendo il delitto Moro e non solo: «Sono convinto che i grandi delitti politici di quegli anni abbiano a che fare con le gravi tensioni internazionali della guerra fredda». Per Zanda sono assolutamente collegati tanto il delitto del fu Presidente Dc Aldo Moro, il tentato omicidio di Papa Giovanni Paolo II (13 maggio 1981) e l’attentato a Enrico Berlinguer, segretario Pci, il 3 ottobre 1973 (camion di pietro che si scagliò contro la sua auto e solo per un soffio non lo uccise sul colpo, morendo invece l’autista al suo fianco). «Solo per pochi millimetri una pallottola non avrebbe bucato l’aorta di Wojtyla. È evidente il tratto comune ai due attentati: una casualità imprevedibile che ha evitato la morte delle due vittime, la determinazione omicida dei responsabili e il collegamento con la Bulgaria», spiega ancora Luigi Zanda a Rep.
LE RIVELAZIONI “SCOMODE” SULLA SINISTRA DEL NOVECENTO
Un’unica “mano” forse sarebbe esagerato da considerare per i vili attacchi suddetti, eppure «un disegno di destabilizzazione che li unisce. I tre delitti avevano come bersaglio tre personalità che in modi molto diversi stavano comunicando al mondo un pensiero nuovo e dirompente rispetto a schemi consolidati, raccogliendo un desiderio molto forte di maggior democrazia per grandi masse popolari. E in questo modo urtavano gli equilibri della guerra fredda». Per Zanda, Moro apriva al comunismo in un Paese della Nato mentre Berlinguer “rompeva” l’internazionalismo comunista preferendogli la democrazia raggiunta in Italia: infine il Papa che minava e vi riuscì la struttura stessa dell’impero comunista sovietico. «Sono tre delitti di grande criminalità politica, difficilmente attribuibili solo a singoli attentatori o a gruppi estremisti. Sembrano più riconducibili a un gigantesco disegno di caratura internazionale», rileva Zanda presentando quello che al momento resta una sua ricostruzione personale e nulla più. Spiega l’ex tesoriere Pd, «la bilancia pende dalla parte dell’Unione Sovietica di cui era nota la spinta a destabilizzare l’Europa occidentale. Forse non è un caso che la Bulgaria, longa manus esecutiva dell’Urss, compaia ripetutamente anche nelle indagini sull’attentato al Papa. E per quel che riguarda il sequestro di Moro, richiami fattuali all’Urss e ai paesi satelliti ricorrono nella relazione finale dell’ultima commissione di inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni». Zanda difende gli Stati Uniti («non giovava loro destabilizzare l’Italia con un delitto di quella portata») e lancia attacchi diretti all’ex URSS: «Le Br facevano parte di un network che includeva la Raf tedesca, l’Ira irlandese, i terroristi palestinesi e probabilmente una parte degli indipendentisti baschi: questi movimenti erano in qualche modo vicini alla Russia Sovietica. E da questa rete arrivava il rifornimento delle armi».