La Germania è in recessione e il resto del 2023 non fa presagire niente di buono. I numeri dell’economia cinese sono sotto le previsioni e preoccupano i mercati, soprattutto a causa del settore immobiliare. Anche per Pechino la ripresa del dopo Covid sarà lunga e accidentata. Le difficoltà di due nazioni che hanno un ruolo importante nella scena economica mondiale, però, non sono dovute solo a problemi contingenti. “È la crisi dello stesso complesso capitalistico” spiega Giulio Sapelli, economista, professore emerito di storia economica alla Statale di Milano.
Sono in crisi sia il capitalismo nordamericano e cinese, sia quello di stampo russo-tedesco che comprende ancora la stessa Cina, alla base di un “disordine mondiale” di cui è protagonista anche la classe dirigente degli organismi sovranazionali, dalla Ue al Fmi, all’Onu, cui gli Stati hanno trasferito una parte dei loro poteri ricevendone in cambio l’imposizione di politiche irrealistiche che aggravano i problemi. Un contesto in cui l’Italia ha gli strumenti per riuscire a barcamenarsi, anche se dopo vent’anni di mancata crescita sta andando “verso il sottosviluppo”.
Dagli indicatori economici che inquadrano la situazione di Germania e Cina vengono segnali negativi. Come si spiega la crisi di due nazioni leader della scena mondiale e quali conseguenze può avere?
Esistono due grandi complessi capitalistici mondiali che a tratti sembrano andare verso la centralizzazione, una sorta di super-imperialismo, mentre a tratti vanno verso il conflitto inter-imperialista. Sono da un lato il capitalismo nordamericano e cinese, fondato soprattutto sulla leva finanziaria e per un lungo periodo, fino a quando non si è scontrato con le necessità di politica estera e di difesa, anche sulla cooperazione tecnologica, mentre dall’altro lato c’è un capitalismo molto più vecchio che affonda le sue radici nel tardo Ottocento e che è quello tedesco, russo e ancora cinese, fondato su una collaborazione militare, energetica tra Russia e Germania nonostante l’invasione hitleriana: la Wehrmacht, dopo la prima guerra mondiale, è stata ricostruita nelle pianure siberiane in accordo con i generali dell’Armata rossa. Questi capitalismi devono fare i conti con la rottura della collaborazione tra oligarchia russa e ucraina: chi puntava a un ritorno organico con la Russia è stato eliminato, ha vinto chi vuole l’indipendenza ucraina.
La guerra in Ucraina è stata, quindi, un po’ il colpo di grazia per questo capitalismo?
Per il capitalismo che doveva essere unitario. Gli americani adesso hanno un solo interesse: dettare loro l’agenda dei rapporti con la Cina su scala mondiale. È un prolungamento della teoria dell’unipolarismo che David Calleo ha descritto in un famoso libro di fine anni 90. L’America vuole trasformare non solo il Sudamerica sulla base della dottrina Monroe (che esprime la supremazia degli Usa nel continente americano, nda) ma in un modo molto più compulsivo anche l’Europa. Lo hanno deciso con la guerra in Ucraina, dove Putin si è cacciato sciaguratamente in pieno delirio etnico-religioso: adesso è arrivato il momento della resa dei conti.
Cosa in particolare ha provocato questa situazione?
Ciò che ha scatenato questa nuova situazione sono in primo luogo le sanzioni americane alla Russia. Se guardiamo i dati e non ci facciamo illudere dalla caduta del rublo, che è causata soprattutto dalle manovre finanziarie americane con le pressioni sulle grandi banche d’affari, le sanzioni hanno indebolito soprattutto gli alleati europei degli Usa, in primis la Germania. La crisi cinese ha altre radici: con un modello come quello fondato sullo stock a capitale fisso solo nell’immobiliare e non nell’industria e sulla centralizzazione neomaoista di Xi Jinping, che ha spaventato i capitalisti privati favorendo la fuga dei capitali stranieri e il reshoring in Europa, la Cina sta andando verso una crisi profondissima. Non ciclica ma strutturale. E anche per la Germania questo è un colpo tremendo.
Una crisi di cui risentiranno tutti?
Paradossalmente i Paesi che risentiranno meno di questa crisi sono quelli come l’Italia, ultimi dei primi e primi degli ultimi. Anche nella crisi del ’29 eravamo posizionati come ora nella classifica mondiale e la subimmo molto meno degli altri. Eravamo tra arretratezza e sviluppo, adesso siamo un Paese sviluppato che sta cadendo nell’arretratezza. La crisi l’affronteremo bene perché abbiamo una diversificazione nelle esportazioni. Di grandi imprese non ne abbiamo più, salvo quelle energetiche che sono partecipate dallo Stato, mentre abbiamo le piccole e medie imprese che sono più resilienti a queste ondate: ne muoiono molte ma ne nascono di più. Sarà comunque una crisi profondissima per tutta l’Europa.
Riguarderà anche gli altri continenti?
Il problema vero è se si propagherà in Asia e in America latina. Quest’ultima è in una crisi altrettanto profonda, basta vedere l’Argentina, l’Asia ha solo il baluardo dell’India. Chi ci guadagnerà sarà proprio l’India, che emergerà come nuova potenza indo-pacifica, con profonde ripercussioni in Europa: forse diventerà un nostro nuovo spazio di sviluppo. Poi c’è l’Africa, che ha una borghesia già solida, che cresce ogni anno ma che deve confrontarsi con l’instabilità degli Stati, con il fondamentalismo islamico e soprattutto con il crollo dell’impero francese. Se crolla la Francia in Africa c’è il rischio che crolli tutta l’Africa. E la Cina non può coprire il vuoto, non ha mai potuto. E neanche la Russia. Chi uscirà vincente da questa crisi saranno le nascenti borghesie africane.
Ci sono quindi due capitalismi, uno americano e cinese e l’altro tedesco, russo e ancora cinese. La Cina ha un ruolo in tutt’e due i campi?
La Germania è uno dei principali Paesi che interviene in Cina, che è una potenza demografica e un Paese immenso. Durante la crisi cinese di fine 800 la Cina era occupata da tutte le potenze, anche gli italiani avevano una legazione laggiù. Alla fine la Cina è sempre stata smembrata economicamente ma mai politicamente, da quel punto di vista ha sempre resistito.
Al di là di questa crisi di sistema ci sono anche motivi contingenti che hanno accelerato la crisi ad esempio della Germania, come le politiche sulla transizione ecologica e le loro conseguenze sull’industria automobilistica?
Sulla scena mondiale ci sono due grandi capitalismi ma anche un altro grande protagonista, che sono le organizzazioni sovranazionali: la Ue, la Cop (Conferenza delle parti sul clima, nda) 20, la Cop 21, il Fondo monetario internazionale, una sorta di nuova Unione Sovietica che si è creata a livello mondiale, alla quale gli Stati tutti hanno conferito una delega (di cui nessuno finora ha spiegato il perché) trasferendo parte dei loro poteri. Ora ricevono direttive e le applicano, con conseguenze devastanti. Ad esempio nell’industria automobilistica: è una contro rivoluzione ideologica che ha colpito il concetto di Stato nazionale. Non ci sono complotti o interessi o, meglio, ci sono ma il problema è un altro. È successo perché ci siamo spaventati di terribili tragedie che derivavano dal nazionalismo: anche l’Olocausto è un frutto del nazionalismo hitleriano. Le attuali organizzazioni sovranazionali adesso impongono scelte assurde, transizioni da realizzare in 20 o 30 anni, quando invece le transizioni si fanno in secoli. Quindi c’è un altro protagonista, che non evochiamo mai, e che è il dirigismo di queste organizzazioni.
Ma chi orienta il dirigismo delle organizzazioni sovranazionali?
Si orienta da sé, ha creato una sua classe mondiale: è un impero celeste. È una classe di “mandarini” che è diventata autonoma da tutte le potenze e che sta distruggendo il mondo. È sbagliato chiedersi di chi fa gli interessi: fa quelli della classe dei “mandarini”. Basta guardare la von der Leyen: di chi può rappresentare gli interessi? Di nessuno, se non di una classe di “mandarini” a cui lei appartiene.
La crisi di Germania e Cina, quindi, ha ragioni molto profonde?
Pensare che sia una crisi solo economica è sbagliato, è una crisi culturale.
Pechino però dice di volere un nuovo ordine mondiale: come può costruirlo?
Non c’è nessun nuovo ordine mondiale in arrivo, c’è solo il disordine. Il mondo è un sistema di relazioni internazionali che ogni giorno si sposta. È come la frana di Bardonecchia.
In questo contesto quali sono le prospettive dell’Italia?
L’Italia è un Paese che va verso il sottosviluppo. Non si può continuare a dire che è vent’anni che non cresciamo e non fare la sintesi.
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