Non esistono solo gli aforismi di Winston Churchill per definire la democrazia. Il più famoso è quello in cui il grande statista inglese riconosce che il sistema democratico ha imperfezioni e contraddizioni, concludendo però con un giudizio secco e perentorio: “purtroppo non c’è niente di meglio rispetto agli altri sistemi”. Altre persone, che hanno combattuto contro sistemi autoritari, spiegavano che la democrazia è come “uno stomaco che alla fine digerisce tutto”, mentre i sistemi autoritari ti mettono in campo di concentramento, ti emarginano brutalmente o ti uccidono. In altre parole questi sistemi hanno uno stomaco che “non digerisce nulla”.



Le metafore, i paragoni e gli aforismi hanno certamente un valore che si può verificare nella storia. Ma a volte alcune realtà si deformano a tal punto che quello che appariva scontato non si verifica più.

Questi pensieri vengono in mente alla luce delle ultime elezioni americane di Midterm, le consultazioni che avvengono a metà del mandato di un Presidente e che coinvolgono la maggioranza alla Camera bassa, al Senato, ma che riguardano anche le elezioni dei governatori di alcuni Stati americani.



I sondaggi spiegavano che il presidente democratico Joe Biden era sceso in popolarità sotto il 40%. E quindi si temeva la cosiddetta “ondata rossa”, quella repubblicana per l’antico colore del partito, sotto la guida dell’ex presidente Donald Trump.

La previsione avrebbe letteralmente sconvolto la politica degli Stati Uniti. Trump è indagato e coinvolto in procedimenti, anche penali: non solo per non aver riconosciuto la vittoria di Biden e dei democratici, ma averli accusati apertamente di brogli elettorali e soprattutto per non aver fermato o probabilmente aver promosso o provocato l’assalto del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, al Congresso americano. Un’azione che è apparsa come un’autentica sommossa che ha provocato 4 morti, diversi feriti e numerosi arresti.



Il nuovo presidente democratico, Joe Biden, definì questa azione un vero attacco alla democrazia, dove però “la democrazia ha tenuto e il popolo ha resistito”.

In un clima politico di questo tipo negli Stati Uniti, e in una situazione mondiale carica di incertezze e rischi a cominciare dall’invasione della Russia in Ucraina con una guerra che dura ormai da nove mesi, se ci fosse stata una “onda rossa” di grande consistenza sarebbero probabilmente sorti problemi di grande gravità.

Facendo i conti e le valutazioni dopo le elezioni di Midterm si possono trarre considerazioni preoccupanti, ma si può affermare che la “ondata rossa” guidata da Donald Trump non è riuscita.

Guardiamo con attenzione e facciamo alcune considerazioni.

I repubblicani hanno certamente vinto, ma sono emersi nuovi personaggi nell’Grand Old Party che non hanno intenzione di appoggiare una ricandidatura di Donald Trump alla Casa Bianca. Un grande successo ha avuto ad esempio in Florida Ron DeSantis, governatore dello Stato, e pronto a candidarsi al posto di Trump per le presidenziali con grandi probabilità di successo. Aggiungiamo che Trump, al momento delle nuove elezioni presidenziali, avrebbe 81 anni, un’età che si può definire poco “presidenziale” in una democrazia come quella americana.

Oggi comunque si sa che Trump è furioso, sia per il successo più misurato del previsto dei repubblicani, sia per l’affermazione consistente di DeSantis, sia per la sua presa, sempre forte ma non più decisiva, sull’elettorato americano.

Sul fronte opposto, quello dei democratici, è certamente emersa la fragilità di Joe Biden, per la sua scarsa popolarità, per il suo stato psicofisico che a volte sembra preoccupante, sia per le contraddizioni che ci sono all’interno dello stesso partito democratico, dal progressista Bernie Sanders a chi ha simpatie socialiste come Alexandria Ocasio-Cortez, a chi si vede emarginato come la vicepresidente Kamala Harris. In più Biden ha anche lui un’età poco “presidenziale” e vuole ricandidarsi tra le perplessità di molti suoi colleghi di partito, anche se non ripresentarsi per un presidente Usa è vissuto sempre male, quasi come un affronto.

Se poi veniamo ai numeri si regna nell’incertezza, ancora adesso, e i risultati finali non arriveranno presto e per alcuni casi si parla di un’attesa di settimane. Si può ritenere che alla Camera Bassa i repubblicani avranno con tutta probabilità la maggioranza, mentre al Senato si profila un pareggio, dove però chi presiede il Senato è un democratico che assicurerebbe la maggioranza attuale. Ma anche qui ci sono ancora i conteggi in corso e in quattro Stati, al Senato, il risultato è incerto sia per i conteggi sia per le varie contestazioni dei risultati che negli Stati Uniti sono all’ordine del giorno.

Da queste brevi analisi si può comunque trarre una considerazione: gli Stati Uniti sono politicamente un Paese spaccato in due, dove il confronto tra maggioranza e opposizione è diventato un duro scontro.

Il simbolo di uno Stato liberale, democratico, innovatore addirittura dell’antica democrazia britannica da cui ha ereditato l’organizzazione statale per molti aspetti, ma aggiungendovi una costituzione scritta e nominando ogni quattro anni un presidente al posto di una dinastia reale, sembra oggi imballato in una spaccatura frontale tra due anime che non rappresentano nemmeno più quello che si chiamava “il sogno americano”, ma piuttosto la contrapposizione tra due visioni, per certi aspetti indecifrabili, di riaffermare una supremazia mondiale in un assetto geopolitico in profonda trasformazione. Difficile oggi pensare agli Stati Uniti del quarto presidente, James Madison, che riteneva che bisognasse cambiare Presidente ogni anno per non lasciare “troppo” il potere nella mani di una persona.

A questo punto, si può dire un multipolarismo non realizzato, una globalizzazione non riuscita, una difesa ossessiva del libero mercato mondiale e soprattutto del neocapitalismo in contrapposizione a sintesi ideologiche poco decifrabili come la Cina, hanno provocato anche negli Stai Uniti problemi economici, disuguaglianze spaventose, strapotere della finanza e larghi strati di povertà.

È proprio guardando alla crisi che vive la democrazia americana, che viene in mente lo stato di crisi che vive la democrazia nel mondo. Secondo l’Organizzazione mondiale “Freedom House” oggi solo il 29% della popolazione mondiale vive in libertà, il 43% vive in regimi parzialmente autoritari, mentre dal 1997, il 38% vive in totale assenza di libertà.

Questi dati sono inquietanti rispetto all’allargamento della democrazia avvenuto dopo il 9 novembre 1989, quando ci fu la caduta del Muro di Berlino. Si deve dedurre che la democrazia liberale è in crisi irreversibile? Quanto meno si può affermare che è in un pericoloso stato si sofferenza.

Il fatto che un simbolo di democrazia e libertà, di innovazione democratica affermatasi nel Novecento come gli Stati Uniti siano spaccati duramente in due visioni che si combattono, comporta inquietudine e un futuro carico di incognite. Il risultato delle lezioni di Midterm è questo. Cioè un colpo alla democrazia che abbiamo conosciuto.

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