Sale a Washington una certa freddezza per fornire nuovi aiuti “illimitati” a Kiev mentre alla Camera dei rappresentanti Usa è iniziato il 2 novembre un importante dibattito che potrebbe portare a forti ridimensionamenti delle forniture americane. Il nuovo speaker della Camera, il repubblicano Mike Johnson, ha espresso infatti un orientamento contrario all’ipotesi di Biden di unificare gli stanziamenti per Ucraina e Israele nel nome di un unico fronte “a difesa della libertà” destinando poi 14 miliardi di dollari ad Israele e 61 all’Ucraina, oltre a 9 miliardi in aiuti umanitari a Gaza e altri fondi per contrastare la presenza militare cinese, per un “pacchetto” totale di ben 106 miliardi di dollari.



Se le richieste della presidenza fossero separate, molto probabilmente sarebbero approvate in tempi rapidi quelle per Tel Aviv, ma resterebbero al palo o verrebbero molto ridotti i nuovi aiuti a Kiev, vista l’opposizione crescente dei repubblicani a stanziamenti ingenti a favore di Zelensky. Si delinea comunque uno scontro istituzionale, con il rischio di offrire a Putin una patente di vittoria almeno d’ immagine. D’altronde, dopo 20 mesi di guerra, non solo i russi sono di fatto sempre sulle loro posizioni raggiunte poche settimane dopo l’inizio dell’invasione, ma Kiev ha evidentemente fallito la programmata controffensiva estiva annunciata con molta enfasi ma poi spentasi senza risultati concreti, nonostante un impegno massiccio di armi occidentali.



Anche per questo crescono i dubbi americani sull’effettive capacità dell’esercito di Kiev, ma soprattutto su dove siano effettivamente finiti i finanziamenti militari e umanitari che nei mesi scorsi sono stati forniti per un totale ormai di diverse centinaia di miliardi di dollari. Voci sempre più diffuse e recentemente riprese anche dai media Usa (ad iniziare dal Washington Post e dal New York Times) parlano di una corruzione diffusa in Ucraina anche ad alto livello, di nessun controllo sugli appalti e le forniture, mentre una parte degli aiuti sarebbero finiti al mercato nero o venduti a terzi e in parte addirittura “rientrati” in Usa con sospette triangolazioni finanziarie.



Non da oggi, per esempio, la vicina Transnistria è terra di nessuno, controllata dai commercianti d’armi che le rastrellano rivendendole poi in tutto il globo per i tanti conflitti minori “a bassa intensità” che incendiano il mondo, spesso nel disinteresse di tutti. Possibile che il ricco piatto di una guerra proprio sulla porta di casa non abbia permesso di fare affari d’oro ai signori della guerra di Tiraspol che da sempre hanno molti amici a Kiev? Di certo c’è solo che gli aiuti militari all’Ucraina sono comunque serviti per svuotare gli arsenali bellici dell’Occidente (con l’interessante prospettiva di nuove forniture) pur senza portare a risultati oggettivi sul campo.

A meno di un anno dalle elezioni presidenziali e davanti ad un Biden sempre più incerto e spesso maldestro è ovvio che l’opinione pubblica non solo americana sia sempre più scettica e che dei malumori approfittino sia gli avversari repubblicani, sia quei democratici che da sempre esprimono scetticismo, pur da dietro le quinte. Si vedrà l’esito del dibattito in corso al Congresso Usa, ma se fossero decisi tagli – magari in termini progressivi – motivandoli con la necessità di schierarsi maggiormente con Israele, è chiaro che la Nato intera (molto divisa al suo interno sul Medio Oriente, lo si è visto anche durante l’ultima votazione all’Onu) dovrebbe prenderne atto, mentre alcuni Paesi come Polonia, Ungheria e Slovacchia sono da tempo sempre più restii a fornire altri aiuti militari. Che sia allora finalmente giunto il momento di intavolare trattative serie con Mosca, che dal canto suo – pur ostentando sicurezza – è pure in difficoltà per la lunghezza del conflitto? Certamente Mosca sta dimostrando di saper uscire senza grandi danni dalle sanzioni, un blocco che invece si è ripercosso sulle economie occidentali che sono entrate in una evidente crisi economica ed energetica, ma anche Putin non ha utilità a perpetuare la guerra, magari ottenendo un regime di autonomia internazionale per il Donbass e sicurezza in Crimea.

In ogni caso – come insiste quotidianamente papa Francesco – è forse davvero il momento per proporre e tentare una tregua anche solo temporanea, un “cessate il fuoco” in attesa che gli Usa annuncino o meno nuovi stanziamenti, visto che comunque la promessa di Biden di continuare a sostenere illimitatamente l’Ucraina, ribadita ancora a settembre durante l’ultima visita del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Washington, è sempre più difficile da mantenere.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI