Dopo tanti messaggi incrociati e concilianti da parte di Washington e Teheran, ecco finalmente la svolta tanto attesa: il Dipartimento di Stato americano ha annunciato che gli Usa accettano l’invito dell’Europa di sedersi di nuovo al tavolo per ridiscutere l’accordo sul nucleare con l’Iran. Non solo: l’ambasciatore americano all’Onu ha comunicato che la lettera inviata lo scorso settembre dall’amministrazione Trump non ha più valore e che le sanzioni tolte dal Palazzo di Vetro nel 2015 restano tolte. Si torna dunque all’atmosfera di dialogo come ai tempi di Barack Obama. Secondo il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze e della Brigata Folgore in molte missioni internazionali, “chi ha più da guadagnare in una cessazione delle tensioni fra Iran e Occidente è certamente proprio l’Iran, che accetterà di buon grado le richieste che gli verranno avanzate”.



Gli Stati Uniti, come promesso da Biden, riaprono il tavolo del dialogo con l’Iran. La decisione è ufficiale. Siamo in presenza di una svolta? Di che tipo? E Teheran accetterà di sedersi al tavolo con gli americani?

Credo che Teheran accetterà certamente, l’Iran è il paese che da una tensione con l’Occidente e soprattutto con gli Usa è quello che più ha da perdere, non c’è dubbio. L’accettazione di questa riapertura del dialogo dovrebbe essere facilitata dal fatto che non c’è più Trump, responsabile dell’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani. C’è invece adesso una amministrazione di tipo conciliante. Sicuramente Teheran accetterà, perché sperava in una svolta del genere. Trump in Medio Oriente ha avuto una comportamento contraddittorio.



In che senso?

Nel senso che, se è vero che non ha preso provvedimenti particolarmente duri nei confronti di Assad così come avrebbero desiderato i democratici, ha preso invece una posizione molto dura nei confronti dell’Iran, ed è un punto interrogativo nella politica estera di Trump.

Si chiede come condizione all’Iran che venga rispettato il libero accesso ai siti da parte degli ispettori dell’agenzia nucleare. Lei crede, come Teheran ha detto dopo l’uscita degli Usa dall’accordo, che davvero si sia proceduto con l’arricchimento dell’uranio?

Chi può dirlo. Può darsi che quelle parole siano state una manovra, una forma di pressione usata come deterrenza: non potendo fare realmente quello che volevano, l’hanno fatto con le minacce. Insomma, Teheran quando ha detto che avrebbe arricchito l’uranio l’ha fatto in maniera strumentale. Un’affermazione credo di carattere politico.



Israele però, che in fatto di spionaggio è al primo posto nel mondo, ha chiesto più volte di bombardare gli stabilimenti iraniani perché ha la certezza che si stesse procedendo con un arricchimento dell’uranio. Che ne pensa?

Israele ha il suo avversario per antonomasia proprio nell’Iran, e questa forse è la vera ragione che ha spinto Trump a fare quello che ha fatto: aveva bisogno di un appoggio solido nella regione mediorientale e ha ceduto alle pressioni israeliane, prendendo una posizione molto dura. Israele è assolutamente il paese che più ha da temere da un potenziamento iraniano. Vero che l’Iran, come già fatto in passato, non avrà difficoltà ad ammettere le ispezioni, perché è vitale la necessità di potersi riappacificare con l’Occidente, innanzitutto con gli Stati Uniti, ma anche con l’Europa, dalla quale dipende la sua economia.

Anche l’Italia?

Certamente,  riguarda anche noi. Come italiani nei rapporti con l’Iran abbiamo sempre avuto un atteggiamento molto attento e l’Iran ha sempre rappresentato un mercato importante per l’Italia.

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