“L’aborto pone una questione morale profonda. La costituzione non impedisce ai cittadini di ogni stato di limitare o proibire l’aborto. Le precedenti sentenze, Roe e Casey si sono arrogate questa autorità. Ora queste sentenze vengono superate e la corte restituisce tale autorità al popolo e ai suoi rappresentanti eletti”. Si chiudono così le 79 pagine della sentenza (cui vanno aggiunti gli allegati e le concurring e le dissenting opinion di alcuni giudici, per un totale di 213 pagine) che ha restituito il tema dell’aborto al dibattito politico, mandando in soffitta la Roe vs Wade, decisione che 50 anni fa aveva legalizzato in tutti gli Stati Uniti l’aborto fino al momento in cui il feto non sia in grado di vivere autonomamente rispetto alla madre.
Il ragionamento fatto dalla maggioranza (6 su 9) della Corte Suprema è tanto semplice quanto ben argomentato: la sentenza Roe vs. Wade non ha alcun fondamento nel testo della costituzione, nella storia americana o in altri precedenti giurisprudenziali e impone sull’intero Paese un dettagliato sistema di regole su quando è possibile o meno effettuare un aborto che è tipico dell’autorità legislativa. Nel 14esimo emendamento (“Nessuno Stato farà o metterà in esecuzione una qualsiasi legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; né potrà qualsiasi Stato privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge [due process of law]”) né in altre parti della costituzione Usa è rinvenibile un riferimento al diritto all’aborto. Inoltre, la Corte, individuando, 50 anni fa, il criterio della vitalità del feto come parametro per aver diritto o meno ad effettuare un aborto, criterio che non ha particolare supporto né nel mondo politico né nel mondo bioetico, ha agito in maniera arbitraria, arrogandosi poteri tipici del legislatore.
La Suprema Corte ha quindi posto termine a questo errore, stabilendo che gli stati possono decidere, per legittime ragioni, di regolare la materia dell’aborto e che se queste ragioni vengono questionate, l’organismo giudicante non può sostituire il proprio credo sociale ed economico al giudizio dato dal corpo legislativo.
La maggioranza della Corte nota poi come nell’opinione dei tre giudici dissenzienti (tutti e tre esponenti dell’area liberal) non viene in alcun modo considerato come degno di nota il legittimo interesse di uno stato nel proteggere la vita prima della nascita. Tale interesse viceversa, c’è, ed è compito del legislatore contemperarlo con la libertà della madre di prendere scelte in merito alla propria gravidanza. Il giudice relatore Samuel Alito precisa che la decisione non è basata su alcuna convinzione della Corte o dei suoi giudici su quando inizia la vita prima della nascita o sul fatto che il feto possa avere alcuni diritti tipici di una persona. Viceversa, l’opinione espressa dalla minoranza liberal implica, ritenendo l’aborto un tema non discutibile, che la costituzione vieti al legislatore di riconoscere anche solo alcuni basilari diritti in capo al feto, perlomeno fino alla sua vitalità fuori dal grembo materno. E questo divieto non è assolutamente previsto dalla costituzione americana.
A questo punto le normative limitatrici dell’aborto, approvate dai parlamenti di diversi stati a guida repubblicana diventano legittime, così come rimarranno legittime le norme approvate o in via di approvazione in molti stati a maggioranza democratica. Tali norme vanno da quelle particolarmente restrittive (l’Oklahoma ha approvato una legge che vieta quasi integralmente l’aborto) a quelle più permissive (in Missouri o in Florida viene permesso l’aborto fino alla 15esima settimana, e il neo-governatore della Virginia Youngkin ha appena annunciato un provvedimento simile).
La sentenza traccia comunque una strada chiara: il potere giudicante deve applicare le leggi, non crearne di nuove. Il compito delle corti superiori è interpretare e custodire lo spirito della costituzione, non creare nuovi diritti, anche quando questi godono del consenso della maggioranza popolare. Questo compito spetta al legislatore, che interpreterà la volontà del popolo, terrà conto delle differenze culturali esistenti (ad esempio tra i diversi stati americani) e contempererà i diversi interessi e diritti in gioco.
Si tratta quindi di una sentenza che rimette al centro del sistema pubblico la politica, e in particolare il parlamento, luogo sovrano dove si esprime la democrazia e unico soggetto titolato a legiferare, anche in tema di nuovi diritti.
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