Dopo lunghe settimane di tentennamenti, il presidente americano Joe Biden ha concesso l’invio di missili Patriot in Ucraina. La notizia ovviamente non è stata accolta bene da Mosca, che ha già detto che tale invio significa il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto e che pertanto la Russia si sentirà legittimata a colpirli. La cosa ha un significato preciso, ci ha detto in questa intervista il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore in numerosi teatri di guerra, dalla Somalia al Kosovo e all’Afghanistan: “Per far funzionare un sistema così complesso come quello dei missili Patriot è necessario un periodo di addestramento di diversi mesi, cosa che gli ucraini non possono permettersi.
Questo significherebbe che a occuparsi dei missili sarà personale americano e questo intende il Cremlino quando parla di coinvolgimento diretto, perché di fatto gli Stati Uniti sono coinvolti dal primo giorno dell’inizio dei combattimenti”. Nel frattempo il commissario europeo per gli Affari esteri e la sicurezza, Josep Borrell, ha detto esplicitamente che “dieci mesi di guerra hanno messo in luce l’insufficienza e la fragilità delle nostre catene di approvvigionamento”.
Sembra che alla fine gli americani si siano decisi a inviare in Ucraina i missili Patriot, un sistema anti-aereo a lungo raggio che si è evoluto in strumento contro i missili balistici. Si leggono però pareri contrastanti e per alcuni non sono l’arma in grado di risolvere il conflitto. Secondo lei?
I missili Patriot sono parte di un patchwork di armi di vario tipo difficili da integrare fra loro, che hanno sistemi e prestazioni diverse. Sicuramente arricchiscono un patrimonio di armamenti difensivi importanti per l’Ucraina, però non sono risolutivi. Già in passato, ad esempio durante la Guerra del Golfo, si sono rilevati molti punti deboli nel loro uso. Inoltre offrono coperture di aree di territorio limitate. Una sola batteria, ad esempio, non sarebbe in grado di proteggere l’intera città di Kiev. Non sono certamente l’arma segreta risolutoria del conflitto che tutti si aspettano.
È vero che per far funzionare una batteria ci vogliono circa 90 uomini e mesi di addestramento?
Gli uomini si possono trovare, perché non credo che in Ucraina combattano solo gli ucraini.
Proprio nei giorni scorsi un generale inglese ha detto che dall’inizio della guerra, dapprima per difesa del personale diplomatico, poi anche per altri utilizzi, è presente un battaglione di commando della marina britannica. Le risulta?
Che ci siano forze speciali inglesi sul territorio è molto probabile, anche da prima del conflitto, magari con la copertura di un incarico di addestramento. Credo che anche adesso siano presenti e siano anche operativi, almeno per dirigere i combattimenti.
Tornando ai Patriot, anche se non sono l’arma risolutiva, alla notizia del loro invio i russi si sono innervositi molto, affermando che significa il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto. Ma gli Usa non sono coinvolti sin dal primo giorno?
Forse si sono innervositi per quello che dicevamo prima, perché si presuppone l’impiego di personale americano per far funzionare i Patriot. Il coinvolgimento c’è già, non solo con le armi, ma anche con le sanzioni e con le dichiarazioni fatte. Dire che la Russia “deve perdere”, vuol dire essere coinvolti nel conflitto.
A proposito di armi non decisive per le sorti della guerra, Josep Borrell ha lanciato l’allarme su esaurimento scorte di armi e munizioni. I Patriot rappresentano le ultime riserve rimaste?
L’Occidente ha dato parecchio, anzi fin troppo, secondo me. Dal punto di vista degli armamenti l’Europa ha delle risorse limitate, chi ha dato la parte maggiore sono stati gli americani. La crisi del munizionamento in Europa e in Italia si è sofferta da sempre, e fornendolo ad altri si abbassa ancora di più. Più di tanto non si può fare.
Nel frattempo il ministero della Difesa della Bielorussia ha diffuso un comunicato del presidente che ordina alle truppe ai confini con l’Ucraina di prepararsi ai combattimenti. Attualmente i terreni sono ricoperti di fango, nelle prossime settimane si ghiaccerà tutto, rendendo più facili gli spostamenti: ritiene ci possa essere una nuova offensiva in arrivo?
È possibile, perché è già successo quando ci fu la prima ondata, che in parte arrivava dalla Bielorussia. Nulla vieta che si ripeta, magari senza la partecipazione diretta di forze bielorusse. Personalmente ritengo che grazie all’uso dei riservisti mobilitati negli ultimi mesi si punterà a completare la conquista del Donbass più che attaccare da nord. Arrivare dalla Bielorussia vuol dire trovarsi davanti a Kiev, vista la poca distanza della capitale dai confini e probabilmente sarà un osso molto duro. Il problema del fango, del gelo e del freddo non è qualcosa che possa impedire avanzate e combattimenti per soldati abituati ad avere a che fare con condizioni climatiche difficili. Non si fermeranno sicuramente perché fa freddo.
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