Tra le varie previsioni che sono state avanzate negli anni passati, quella di Peter Turchin era ritenuta la più audace. Eppure, è quella che più si avvicina alla realtà. Lo scienziato della complessità, specializzato in cliodinamica (modellazione matematica e analisi statistica delle dinamiche delle società storiche), dichiarò che in questo decennio ci sarebbe stata una crescente instabilità negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale, ipotizzando un picco intorno al 2020. Era il febbraio 2010, a distanza di dieci anni quella crisi prolungata che aveva previsto si è verificata. «Questi periodi di forte instabilità durano in genere molti anni. Cinque anni sono pochi; da 10 a 15 anni è la durata più tipica», spiega ora al Financial Times. Questo vuol dire che, se ha ragione, non siamo fuori dai guai. La ragione principale è una: dagli anni ’70 la ricchezza è stata convogliata dai poveri ai ricchi.



Nel frattempo, ci sono troppi laureati troppo qualificati. «Ciò che fa crollare gli Stati sono le lotte intestine all’élite». La contro-élite secondo Turchin è rappresentata da Donald Trump. Quel che bisogna capire, secondo lo scienziato russo-americano, «è se ci sarà un’esplosione di macro-violenza». Espressione che racchiude guerra civile, rivoluzione, frammentazione politica, disgregazione territoriale o invasione straniera. «Nel 10-15% dei casi, quando le società entrano in queste crisi, evitano la macro-violenza. La mia previsione non è che si verifichi al 100% una di queste cose».



“LE PRESSIONI ESTERNE HANNO UNITO LA RUSSIA”

Figlio di un fisico sovietico dissidente, espulso dalla Russia nel 1977, Peter Turchin è convinto che le società siano caratterizzate da un ciclo di integrazione (coesione) seguito da uno di disintegrazione che termina con una crisi. Il ciclo si riavvia all’incirca ogni 200 anni. «Passano un paio di generazioni da un precedente periodo di difficoltà. Le élite se ne dimenticano e iniziano a riconfigurare l’economia in modo da favorire se stesse», spiega il “previsore” al Financial Times. Anche la violenza si ripete, in questo caso ogni 50 anni, per una questione di memoria secondo Turchin: dopo un evento violento, una generazione impara a essere pacifica, ma la terza generazione ha dimenticato i rischi e opta nuovamente per la violenza. A differenza di quel che si può pensare, tra Russia e Stati Uniti non è la prima ad avere una società più vicina al crollo macroscopico. «Le pressioni esterne hanno unificato il Paese», sostiene a proposito della Russia, che inoltre non soffre forse di disuguaglianze economiche peggiori di quelle degli Stati Uniti per Turchin.



Ad esempio, il rapporto tra lavoratori e posti vacanti è «molto favorevole ai lavoratori» dopo l’invasione dell’Ucraina, in quanto sono arrivati meno immigrati e la produzione industriale è aumentata. Inoltre, la fallita rivolta di Prigozhin è stata «un buon test di stress. Tutti erano contro di lui. Senza dubbio, gli Stati Uniti sono in uno stato molto più pericoloso in questo momento». A proposito della guerra in Ucraina, per Peter Turchin sarebbe scoppiata anche senza Vladimir Putin al Cremlino, perché l’élite russa si sentiva minacciata dalla NATO. Comunque, è «quasi una certezza matematica» la vittoria della Russia, anche per il vantaggio che ha a livello di produzione di armi (mentre l’Ucraina dipende dagli aiuti occidentali).