Con uno sguardo sul mondo non si può prescindere dalle pericolose involuzioni che stanno colpendo tre Paesi cari all’Italia: lo Sri Lanka, dove lo strapotere economico di due famiglie cleptocratiche e collegate agli interessi finanziari transnazionali ha portato il popolo allo stremo e alla ribellione che il regime reprime con lo stato d’emergenza e i soldati; il Cile, che con il suo giovane presidente progressista vive una crisi economica e sociale che sfocerà il prossimo settembre in violenti scontri dopo il fallimento (già annunciato) del referendum sulla riforma costituzionale, confermando così l’attuale impianto voluto da Pinochet negli anni ottanta; la Tunisia, che undici anni fa si immaginava cambiasse la storia con la rivoluzione dei gelsomini, è insidiata da pericolose pulsioni islamiste e ha votato il 25 luglio un referendum sulla nuova costituzione voluta dal suo presidente che in una deriva autoritaria vuole accentrare su di se tutti i poteri. Per vicinanza geografica, la deriva tunisina dovrebbe preoccupare molto l’Italia che, distratta dalle sue beghe politiche interne, si nasconde dietro l’impotenza di un’evanescente Unione Europea che ha colpevolmente lasciato andare alla deriva questo Paese.



Non possiamo neppure non vedere che ci sia qualcosa in più di una riorganizzazione dietro le sospensioni e rimozioni di alti funzionari decretate il 18 luglio dal presidente dell’Ucraina, Zelensky, il capo dell’intelligence Bakanov e il procuratore generale Venediktova, l’apertura di istruttorie per tradimento di 651 funzionari dell’intelligence e del tribunale anticorruzione, nonché il ritiro della cittadinanza al banchiere Koban e all’oligarca Kolomoisky (già sostenitore di Zelensky) e ad altri, la sostituzione del comandante in capo delle forze armate.



In una rara quanto pregnante intervista del 20 luglio il più ricco degli oligarchi, Rinat Akhmetov, afferma che “cede allo Stato il suo impero mediatico” e dichiara che l’epoca degli oligarchi è finita. Lo stesso 20 luglio il ministro degli Esteri russo, Lavrov, dichiara che “gli obiettivi militari russi non sono più limitati alla sola regione orientale del Donbass”. Il 22 luglio, pochi giorni dopo la riunione del gruppo di Astana a Teheran (Putin, Raisi, Erdogan), funzionari russi e ucraini hanno firmato un accordo per consentire l’esportazione di cereali dai porti ucraini del Mar Nero: il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan hanno affermato che l’accordo contribuirebbe ad alleviare una crisi alimentare globale.



Lo stesso 22 luglio l’agenzia di rating Fitch porta l’Ucraina a livello “C” (un passo prima del default) nonostante gli Usa abbiano versato a Kiev più di 40 miliardi di dollari nei passati 5 mesi. Poco prima, l’11 luglio, Zelensky aveva annunciato il reclutamento di 1 milione di soldati da mandare al fronte.

Non possiamo non vedere che il più determinato sostenitore estero di Zelensky, il premier conservatore britannico Boris Johnson, si era dimesso il 7 luglio e che un altro determinato sostenitore euro-atlantico dell’Ucraina, il premier italiano Mario Draghi, si è dimesso il 21 luglio.

Intanto, l’americano Biden e l’Unione Europea continuano nella politica di sostegno, anche militare, all’Ucraina aggredita ma ad ogni possibilità ribadiscono che non hanno alcuna intenzione di combattere direttamente sul terreno ucraino e in nessun caso di avere uno scontro diretto con la Russia. Inoltre, l’Ue è stata costretta (dalla Germania e dagli Usa) ad un “chiarimento” delle inopinate sanzioni anti-russe, imponendo certe eccezioni che hanno ridotto le tensioni create dalla Lituania a Kaliningrad e hanno permesso al Canada di restituire la turbina Siemens alla russa Gazprom.

Sempre il 21 luglio, Gazprom attraverso NorthStream 1 ha riaperto le forniture di gas alla Germania. Ma della brillante idea draghiana del “price cap”, cioè il prezzo determinato dal compratore, possiamo solo rilevare che la Russia ha fatto sapere che avrebbe sospeso le forniture perché anti-economiche, portando così il prezzo del petrolio (più scarso) a 3-400 dollari al barile. Non se ne parla più, così come dell’altra idea autolesionista della Commissione von der Leyen (favorevole solo la Germania) di obbligare gli Stati ad una riduzione del 15% del consumo di gas. L’opposizione di Spagna, Ungheria e Grecia, ma anche in modo più sfumato dell’Italia e in parte della Francia, ha portato ad un’umiliazione della Germania con un testo approvato il 26 luglio pieno di eccezioni e compromessi, oltre al fatto che la sua applicazione è demandata ad una decisione specifica del Consiglio (che per ora non c’è).

Un mese di luglio molto convulso che segnala inequivocabilmente che Biden (e quindi la Nato e di conseguenza l’Ue) ha rifocalizzato l’interesse strategico americano: entro la fine del mese Biden avrà una conversazione telefonica con il presidente cinese Xi. L’interesse americano è la Cina. Punto. La Russia resta un paese ostile da contenere in Europa: gli americani ormai dispongono di basi proprie nell’Europa dei 12 Paesi del Trimarium (Three Seas Initiative, che si vuole complementare all’Unione Europea) costituendo un antemurale anti-russo autonomo dalla Nato e dall’Ue.

A breve termine (settimane?) sarà necessario raggiungere una tregua con la Russia e consolidare la nuova “cortina d’acciaio” che sancisca il nuovo scisma dell’Occidente dalla Russia. Per fare ciò, Zelensky deve iniziare a dire la verità al suo popolo: realisticamente una parte del territorio ucraino, benché sia ingiusto, non è e non sarà più sotto il controllo delle autorità centrali ucraine. Il problema di Zelensky è che storicamente tutti i leader di guerra perdono le elezioni (Churchill, De Gaulle) che lui deve affrontare, sapendo che i sondaggi lo danno sfavorito, nelle parlamentari (ottobre 2023) e presidenziali (marzo 2024). Evidentemente, Zelensky è a rischio della stessa sopravvivenza per mano degli oligarchi e delle formazioni ultra nazionalistiche (sostenute soprattutto da Polonia e Lituania), e le parole di Lavrov “obiettivi oltre il Donbass” lo certificano.

A questo punto, sebbene ci siano spiragli per una tregua “armata” (com’è stata quella per il grano), le possibilità di escalation anche non convenzionale sono altissime. Per quanto agli americani, e men che mai agli europei, Italia e Germania in testa, una tale deriva non convenga, errori involontari, o peggio, provocati, potrebbero portare a serie complicazioni. La Russia sa che le relazioni con l’Occidente, in particolare l’Europa, sono e resteranno compromesse per le prossime decadi. La Cina osserva e impara (pensando a Taiwan) ma persiste nella costruzione del mondo multipolare che, tra l’altro, converrebbe molto anche agli antichi sei Paesi che fondarono la Cee.

L’amicizia senza limiti tra Cina e Russia non può prescindere da un’antica diffidenza cinese (sin dal 1961) che vede i russi incapaci di fare i conti con la modernità, con le rivoluzioni tecnologiche ed il “soft power” post-ideologico. Infine, l’Ue resta un soggetto onirico, prigioniero del suo vuoto politico, che persiste nell’ideologia del “pilota automatico” come finanche la Bce ha dimostrato nell’adottare il nuovo scudo anti-spread, il Tpi (Transmission Protection Mechanism), di cui su queste pagine si è evidenziato il “meccanismo ad iniziativa esclusiva della Bce qualora il paese colpito rispetti i quattro criteri” che, come nel Mes, sono: conformità con le regole fiscali dell’Ue, assenza di seri sbilanciamenti macro, sostenibilità fiscale e debitoria e politiche macro a livello interno sostenibili e solide. In pratica, commissariamento dei Paesi non conformi.

Poiché abbiamo fatto qualche accenno, veniamo giocoforza anche all’italico gioco dell’ipocrisia, ribattezzato crisi politica, per cui Mario Draghi ha chiesto e ottenuto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, reo di occupare il seggio più alto che lo stesso super-Mario si era riservato, di indire “elezioni lampo” (snap elections) per il 25 settembre (mese storicamente sfortunato che richiama quell’8 settembre 1943).

In perfetta applicazione dei principi neoliberali, Draghi ha ignorato ogni richiesta sociale presentata dai partiti di coalizione e dai sindacati, irritandosi per il mancato voto di un partito su un volutamente confuso decreto “aiuti”, pur senza perdere la maggioranza necessaria a governare ma rabbiosamente minacciando che “sono qui perché il popolo me lo chiede”. Il Pd (“Partito Draghi”) ha costruito una comunicazione politica basata sull’odio di chi dissente, in una riedizione ispirata alla discutibile campagna anti-comunista del 1948, che ha spinto anche altri partiti, di destra, a non sostenere Draghi. Mattarella, mai così veloce e deciso, ha indetto le elezioni anticipate con lo scopo non detto di distruggere i dissenzienti (M5s e Lega) per creare un grande centro cristiano-liberale democratico a sostegno del prossimo governo.

Sembra davvero di vedere un remake! Una macabra e inutile ipocrisia, visto che qualsiasi sarà il prossimo governo non potrà uscire dal solco tracciato a colpi di decreti emergenziali che Draghi ha predisposto e che, ancor più, predisporrà nei prossimi 60 giorni (forse aiutato da nuove emergenze). Vincerà, inutilmente, chi sarà meno colpito dall’astensionismo. Lo spauracchio del Pnrr – i cui benefici e realizzazione sono divenuti mitologici – serve ad assicurare che l’Italia resti incatenata al pilota automatico brussellese.

In tutto questo lo scissionista ministro degli Esteri e il governo Draghi non hanno visto, e non vedono, che la vera partita da giocare per l’Italia, riedizione aggiornata del ’48, è lo scontro neo-bipolare tra Anglosfera (più qualche fantasma come la Polonia) contro la Russia, con la Cina e la Germania “carolingia” alla ricerca di un mondo multipolare. Il partito di Draghi (Pd) neppure ci prova, preferendo essere comodamente supino, col ministro della Difesa e quello dei Beni culturali al servizio della Nato e degli americani. D’altra parte, come dimenticare Mattarella e D’Alema con la Nato convinti bombardatori di Belgrado?

Torniamo allo sguardo sul mondo.

Il grande Karl Jaspers ha studiato l’origine e il senso della storia che identificava nell’“età assiale” un periodo di eccezionale convergenza dell’umanità (800 a.C.-200 d.C.) in cui, cinquecento anni prima di Cristo, in cinque luoghi differenti dell’Eurasia nacquero profeti, filosofi e sapienti capaci di imporre una nuova visione del mondo, religiosa e politica, imprimendo una svolta all’antico mondo dell’età del bronzo. Quella convergenza assiale dell’umanità – parallela e senza gerarchie – iniziò a divergere con l’agostiniana istituzionalizzazione del dualismo (la città di Dio) che si fece Chiesa con il sostanziale apporto dei barbari Franchi, poi consolidatosi nell’epoca carolingia (Reich, Impero) – atrocemente violenta verso ogni altra civilizzazione, dal Tibet alla Mesopotamia – e infine maturata nel 1054 nel Grande Scisma d’Oriente per la storiografia occidentale, Latino per quella orientale ortodossa.

Altrove nel mondo, l’impianto culturale cosmologico (e magico) è sopravvissuto in varie declinazioni attorno al principio di unità del principio celeste e dei desideri umani – taoismo, confucianesimo, buddismo, animismo, esoterismo – senza mai pensare il dualismo terra-cielo, che sono fattori inscindibili, dipendenti da un unico Principio. Così era la civilizzazione greca e anche quella romana – nonostante Costantino – alla quale l’Occidente europeo continuamente rimanda con retoriche enfasi nonostante il successivo solco tracciato dall’Umanesimo e dalla scienza moderna (XV secolo) e, più tardi, dal positivismo. Diversamente, la costola europea insediatasi nei territori indiani del Nordamerica – dopo un’iniziale fase tradizionalista seguita da quella positivista e di fascinazione neoclassica – pretende oggi di rifondarsi su concetti estranei sia all’assialità sia al dualismo, proponendo un pregnante nichilismo atopico – passando dal melting pot ad una condizione esistenziale tecnologica che è post economica, finanziaria, inclusiva e sostenibile – assortito dall’annichilimento della storia e della cultura (cancel culture), dalla nuova identità antropologico culturale (woke culture), dall’astrazione dalla fisiologia sessuale (Lgbtq++), e dalla convinzione veterotestamentaria di essere l’unica élite umana divinamente prescelta a guidare il destino (giusto) dei popoli del mondo. Una nuova cosmologia individualistica che con il suo eccezionalismo crede in un universalismo unico per la storia dell’umanità.

Sarà necessaria una catarsi per purgare l’Occidente, americano ed europeo, dalle illusioni di superiorità, di cui l’orientalismo è l’epiteto. Una cosa è certa: oggi i “valori” dell’Occidente in nulla si collegano al mondo assiale. Per concludere, citiamo il sociologo tedesco Hans Joas che ha visto l’età assiale in funzione di un radicale mutamento logico e filosofico, prima ancora che religioso e culturale, la svolta di un pensiero che si fa ri-flessivo.

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