Il Pentagono ha annunciato ufficialmente il ritiro pressoché integrale dei soldati americani da Afghanistan e Iraq entro il 15 gennaio. Ritiro che significa la sconfitta completa di due operazioni militari costate, oltre alle perdite militari, qualcosa come, solo in Afghanistan, circa 1,6 trilioni di dollari. Gli errori commessi dagli americani, ci ha detto Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, sono numerosi, il più grave quello operato da Barack Obama nel 2009, quando lanciò la cosiddetta offensiva a orologio, l’invio di altri 17mila soldati da aggiungere ai 37mila già presenti. A fine anno i militari statunitensi dispiegati nella nazione erano diventati 68mila. Obama fu costretto ad annunciare l’invio di altri 30mila uomini, un’escalation resa necessaria da un’insorgenza talebana ormai fuori controllo. “Gli americani hanno ripetuto lo stesso errore commesso dai russi quando invasero l’Afghanistan: impossibile controllare un territorio come quello e impossibile esportare la democrazia occidentale in un paese che si regge ancora su feudatari e una realtà tribale. Non sono mai riusciti a creare un governo effettivo a Kabul, che cadrà come una pera in mano ai talebani una volta che gli americani se ne saranno andati”.
Come in Vietnam, un esercito potente come quello americano non ha saputo sconfiggere dei guerriglieri. Quali sono stati i principali errori commessi in Afghanistan?
Ci sono alcuni elementi da considerare. Intanto la conformazione territoriale del paese, dove anche dispiegare 100mila soldati non basta a saturare un territorio del genere. Questa però non è una scusa per gli errori commessi dagli americani, che dopo la vittoria del 2001 non sono riusciti ad avviare una strategia chiara e a imporre un modello occidentale, che non ha funzionato né per il governo, né per le varie realtà talebane né per l’addestramento del nuovo esercito. Non ha funzionato e continuerà a non funzionare.
L’impegno profuso, anche in termini economici, è stato però enorme.
L’errore più grave è stato commesso da Obama nel 2009, quando si è lanciato in una offensiva con l’orologio, definendo in tal modo il tempo per l’attacco e anche il tempo per il ritiro dei soldati. Sostanzialmente i talebani hanno semplicemente atteso e ottenuto la vittoria che anche i mujaheddin avevano ottenuto contro i sovietici. Il problema del territorio non può garantire una vittoria militare. Non era garantita la governabilità neppure quando l’Afghanistan era indipendente e c’era formalmente un re, perché il paese era sostanzialmente in mano ai signori e alle etnie locali.
Come in Vietnam, le motivazioni ideologiche e le tattiche da guerriglia hanno avuto la meglio su un esercito di impostazione classica?
Il problema è che noi non siamo in grado di sopportare le perdite, neanche l’esercito americano che di uomini sul terreno ne ha lasciati. Soprattutto è folle l’idea di esportare una democrazia, errore fondamentale. Dovevano andarsene dopo aver ottenuto la vittoria nel 2001.
Nel 2019 però è stato firmato un accordo di pace con i talebani. Resiste ancora?
L’accordo di pace c’è, il problema è che è stato fatto da americani e talebani senza il governo di Kabul. Bisogna vedere quanto lo rispetteranno. Credo che all’indomani del ritiro americano Kabul cadrà come una pera matura in mano ai talebani.
L’Afghanistan tornerà nelle loro mani?
Sostanzialmente sì, se i talebani sono ancora quelli del 2001. Sicuramente sono una forza islamista fondamentalista che non accetterà di siglare intese con un governo considerato infedele, che ha collaborato con gli stranieri. Un governo diviso e un esercito poco affidabile dureranno lo spazio di un mattino.
La vicina Cina non ha mai mostrato interessi verso l’Afghanistan?
La Cina economicamente ha già conquistato l’Afghanistan, la gran parte dei prodotti che si trovano sono cinesi, controllano i minerali, le pietre preziose. In termini militari il paese è destinato a cadere nelle mani dei talebani e in termini economici sarà un protettorato cinese. Bisogna però dire che Pechino ha il problema che l’Afghanistan è terra di contagio per gli uiguri, che in Cina sono una minoranza musulmana assai combattiva.
Ci sarà il ritiro anche dall’Iraq, paese oggi nel caos più che mai. Che cosa succederà qui?
Il ritiro militare americano in Iraq sarà molto ridotto, si calcola che se ne andranno circa 500 uomini e ciò non inficerà le capacità. Ma la guerra anche lì è perduta, gli americani controllano le proprie basi, ma non il territorio dove operano le milizie sciite. Il grande errore è stato di far cadere Saddam senza ricordarsi che la maggioranza è sciita e quindi inevitabilmente condizionabile dagli iraniani. Anche qui l’emarginazione dei sunniti ha portato allo Stato islamico e gli americani non sono riusciti a integrarli nel processo politico. A fronte di questi errori la presenza militare è inutile.
Con Biden alla presidenza cambierà qualcosa?
Biden non ha la forza né la capacità di fare qualcosa, e poi era il vice di Obama: gli errori sono anche colpa sua, anche se l’esecutore era Obama.
(Paolo Vites)