Come più volte abbiamo sottolineato, uno degli aspetti centrali della guerra economica sino-americana è la questione dei semiconduttori. Per contrastare la Cina gli Stati Uniti hanno seguito una strategia precisa.

In primo luogo hanno cercato di strangolare il loro avversario attraverso l’embargo. Fin dall’inizio, gli Stati Uniti hanno concentrato i propri sforzi sulle sanzioni volte alla vendita di chipset di fascia alta (7 nm e inferiori) così come su quella delle macchine litografiche in grado di produrli. Privata di chipset da 14 nm a 7 nm, l’azienda Huawei è praticamente scomparsa dal mercato degli smartphone di fascia alta. Oltre a Huawei, l’amministrazione Biden ha intensificato la sua offensiva all’industria cinese dei semiconduttori. All’olandese Asml è stato vietato di vendere ai cinesi le più sofisticate macchine litografiche Euv (Extreme UltraViolet). Queste macchine sono essenziali per realizzare i chipset più avanzati al mondo.



Gli Usa vorrebbero applicare la stessa misura anche alle macchine Duv (Deep UltraViolet), rilevando il ruolo sempre più importante da esse svolto in Cina nella produzione di chip di fascia media. Un ulteriore divieto è quello relativo alla Eda (Electronic Design Automation). Pertanto, gli Stati Uniti vogliono bloccare tutta la catena del valore del chipset: design, produzione e confezionamento.



In secondo luogo gli Stati Uniti hanno posto in essere una specifica politica industriale. Stiamo naturalmente alludendo al Chips & Science Act con un budget di 280 miliardi di dollari, di cui 52 miliardi per sovvenzionare aziende, tra cui sudcoreani e taiwanesi che avrebbero accettato di stabilire le proprie fabbriche sul suolo americano, a condizione che questi ultimi interrompano i loro investimenti in Cina entro i prossimi 10 anni. 170 miliardi saranno spesi in ricerca e sviluppo tecnologico. Paradossale – ma solo per coloro che condividono una visione liberale della politica internazionale – che gli Stati Uniti abbiano posto in essere una vera e propria politica protezionistica. Potremmo dire usando l’espressione francese che gli Usa hanno adottato una politica di patriottismo economico.



In terzo luogo gli Stati Uniti hanno costruito articolate alleanze in funzione di contenimento anticinese. Consapevoli che da soli è molto difficile se non impossibile per gli Usa espellere la Cina dalla filiera dei semiconduttori, gli americani stanno attivamente organizzando l’alleanza Chip 4 con la concessione di 52 miliardi di dollari autorizzata dal Chips & Science Act. Il loro obiettivo è ricostruire la filiera dei chip sul suolo americano, in particolare in termini di produzione, assicurandosi la posizione di leader indiscusso nella filiera globale dei semiconduttori. Gli alleati in questa vera e propria guerra economica sono la Sud Corea (Sumsung, SK Hynix), il Giappone (Toshiba, Tel, Renesas) e Taiwan (Tsmc, MediaTek, Gruppo Ase).

Come ha reagito la Cina? In primo luogo attraverso una politica di investimenti. La Cina ha pianificato di spendere 1.400 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2025 in tecnologie avanzate, compresi i semiconduttori. Gli investimenti in apparecchiature di produzione di chipset sono aumentati del 44% nel 2021 a un massimo storico di 102,6 miliardi di dollari. La Cina mostra una percentuale ancora più impressionante del 58%, conservando per il secondo anno consecutivo il posto di campionessa per questa categoria di spesa, davanti a Sud Corea e Taiwan.

Lo Stato cinese aiuta le aziende che hanno legami con il governo. Ad esempio, quattro aziende di semiconduttori hanno ricevuto un prestito di 4,85 miliardi di dollari a un prezzo inferiore al prezzo di mercato nel periodo 2014-2018. Questi aiuti costituiscono un notevole vantaggio in termini di costi. D’altronde non dimentichiamo che il costo di costruzione e funzionamento di una fabbrica in Cina è inferiore del 37% rispetto agli Stati Uniti.

La seconda strategia cinese implica la produzione di chip di fascia media per soddisfare in modo rapido le enormi e sempre crescenti esigenze nazionali e internazionali. Questi chip possono essere utilizzati per veicoli elettrici, linee di produzione digitalizzate, macchine per elettrodomestici.

L’obiettivo di questa strategia è aumentare molto rapidamente la quota di mercato internamente ed esternamente sfruttando la debolezza della difesa americana e la necessità di produzione locale in Cina. Il tasso di produzione in Cina è del 30%, di cui il 20% da filiali di società estere. La Cina ha oltre 7mila fabbriche legate ai chips. Ebbene l’anno scorso la Cina ha prodotto oltre 359 miliardi di chip. Si tratta di una crescita del 33,3%.

Secondo il governo cinese, la produzione cinese di microchip da parte di società nazionali e fabbriche estere nel Paese è cresciuta il doppio rispetto al 2020. La Cina ha prodotto 359,4 miliardi di semiconduttori nel 2021, il 33% in più rispetto al 2020.

La Semiconductor Industry Association informa che tra i 39 nuovi stabilimenti produttivi costruiti nel 2021, 10 sono in Cina contro 10 a Taiwan, 5 in Sud Corea, 5 in Giappone, 4 in Europa e 4 negli Usa. Secondo Semi, tra il 2022 e il 2024 vedremo emergere 58 nuovi stabilimenti di produzione, 31 dei quali saranno cinesi.

Secondo la Semiconductor Industry Association, le vendite di chip cinesi sono aumentate in modo impressionante.

Cinque anni fa, le sue vendite erano ancora al livello di 13 miliardi di dollari, circa il 3,8% delle vendite globali. Nel 2020, la Cina ha fatto un grande balzo in avanti con un tasso di crescita annuale del 30,6% (39,8 miliardi di dollari), conquistando una quota del 9% di mercato globale che supera Taiwan e si avvicina al Giappone e all’Ue, che hanno ciascuno il 10%.

Se la Cina mantenesse un tasso di crescita annuale del 30% per i prossimi 3 anni, genererebbe nel 2024 un reddito di 116 miliardi di dollari, conquistando così il 17,4% della quota di mercato mondiale. Questo lo colloca appena dietro gli Stati Uniti e il Giappone.

La terza strategia seguita dal Dragone è quella relativa al progresso tecnologico soprattutto relativo ai chip di fascia alta. Il produttore cinese di chip Smic è riuscito a passare alla tecnologia di incisione a 7 nm, utilizzando una macchina per litografia Duv anziché Euv non disponibile presso Smic a causa dell’embargo statunitense.

Ma a parte l’America e la Cina, l’Europa cosa sta facendo?

Non dimentichiamo che l’Europa, anche se oggi produce meno del 10% dei microchip mondiali, rispetto al 40% di 30 anni fa, rimane un giocatore importante.

Nell’elenco delle azioni prioritarie per i prossimi 5 anni per l’Europa, il rafforzamento dell’industria dei chips dovrebbe occupare un posto centrale. Proprio per questo la Commissione europea ha presentato il Chips Act (Piano dei semiconduttori) con un investimento di 43 miliardi di euro. L’Europa ha notevoli capacità tecnologiche in questo settore, ma l’importante è produrre con lo scopo di raggiungere il 20% della produzione mondiale entro il 2030. Un esempio concreto di come l’Europa dovrebbe reagire a questa competizione è l’accordo tra STMicro e GlobalFoundries che hanno concordato di costruire una fabbrica da 5,7 miliardi di euro a Grenoble.

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