I rapporti fra le due più grandi attuali potenze mondiali, Stati Uniti e Cina, sono ormai da diversi anni in evidente deterioramento, ma la lotta per accaparrarsi il monopolio del mercato dei microchip e dei semiconduttori sta trasformando il tutto in un’intensa battaglia economica.
Recentemente, in data 15 novembre, è avvenuto a San Francisco il tanto atteso incontro fra Joe Biden e Xi Jinping, il secondo da quando il Presidente degli Stati Uniti d’America è in carica alla Casa Bianca. Lo scopo dell’incontro era prevalentemente quello di cercare di risanare i rapporti concorrenziali fra le due potenze.
Durante la riunione, sono emersi diversi temi di rilevanza, spaziando dall’intelligenza artificiale (AI) alle sfide climatiche globali. Tra gli accordi raggiunti, la Cina ha manifestato la sua volontà di limitare l’esportazione verso gli Usa di sostanze chimiche utilizzate nella produzione del fentanyl, un oppiaceo sintetico estremamente potente e pericoloso. Inoltre, si è aperta la possibilità di riavviare il dialogo militare con la Cina, dopo che la visita del Presidente della Camera degli Stati Uniti a Taiwan nel 2022 aveva inizialmente bloccato ogni canale di comunicazione.
Gli occhi erano però puntati su un tema in particolare: il mercato dei chip. Con il recente boom sull’intelligenza artificiale, il business dei processori è diventato un settore critico, e Cina e Stati Uniti sembrano voler lottare per accaparrarsi una fetta maggiore di questo mercato, così da diventare i leader indiscussi nei prossimi decenni.
I microchip sono oggigiorno in ogni dispositivo che utilizziamo. Da semplici dispositivi elettronici come un asciugacapelli o una lavatrice, fino ai supercomputer e ai server con enormi capacità di calcolo, il loro impatto è onnipresente. Con l’entusiasmo crescente per l’AI che ha caratterizzato l’inizio del 2023, la domanda di chip ad alte prestazioni è aumentata a dismisura, e colossi tecnologici statunitensi come Qualcomm, Nvidia, Intel e AMD stanno sfruttando questa ondata di interesse per posizionarsi al vertice del mercato.
La situazione però è estremamente critica, ed è doveroso mettere in luce diversi accadimenti per comprendere al meglio questa intensa lotta fra potenze economiche.
Innanzitutto, va sottolineato che la Cina è un Paese con un’elevata quantità di cave utilizzate per l’estrazione delle cosiddette “terre rare”, un insieme di 17 elementi chimici essenziali per la realizzazione di prodotti ad alta tecnologia, come chip e batterie per veicoli elettrici.
Grafico 1 – La produzione mineraria globale di terre rare per nazione (in tonnellate)
Inoltre, da ormai diversi anni, la potenza asiatica sta cercando di rivendicare lo stato di Taiwan. A primo impatto, l’isola di Taiwan potrebbe sembrare un innocuo lembo di terra, con una popolazione di 12 milioni di abitanti e grande poco più della Sicilia. La verità, però, è che la Repubblica di Taiwan è responsabile della produzione manifatturiera di oltre il 60% dei semiconduttori mondiali, e più del 90% di quelli a fascia più alta. Questa produzione viene prevalentemente realizzata da un’unica azienda, con sede nella stessa isola, chiamata TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Corporation). TSMC rappresenta il principale fornitore per le maggiori aziende a livello mondiale coinvolte nella produzione o nell’uso di chip nei propri prodotti, ed è proprio per questo motivo che la Cina è estremamente interessata a rivendicare e ottenerne il controllo.
Grafico 2 – I ricavi annuali delle maggiori fonderie di semiconduttori (in miliardi di dollari)
Durante il meeting fra Biden e Xi, il Presidente degli Stati Uniti ha sottolineato l’importanza della “pace e stabilità” nello stretto di Taiwan, ma ha rifiutato di dire se Xi avesse chiarito le circostanze secondo le quali la Cina vorrebbe invadere l’isola.
L’America si trova ovviamente in una posizione critica, spaventata dalla Repubblica cinese che potrebbe prendersi con la forza il controllo del maggiore produttore di semiconduttori, perdendo quindi la battaglia sui chip e sull’intelligenza artificiale.
Inoltre, circa un mese prima dell’incontro fra i due Presidenti, gli Stati Uniti avevano implementato una serie di misure volte a limitare l’influenza della Cina nel settore dei semiconduttori, imponendo restrizioni sulle esportazioni di chip per l’AI da parte di aziende statunitensi verso la Cina. Il segretario al Commercio americano ha giustificato questa politica affermando che tali chip avanzati sono critici per l’applicazione di misure militari da parte dello Stato comunista. Le aziende più colpite da questo divieto sono sicuramente Nvidia e Intel, alle quale è stato bloccato l’export di diverse tipologie processori.
In risposta, la Cina ha limitato a sua volta le esportazioni verso gli Usa della grafite, un minerale cruciale per l’industria dei semiconduttori. Questo divieto si aggiunge a quello già posto in atto questa estate, dove veniva limitata la vendita nei confronti degli Stati Uniti di altri due minerali essenziali: il gallio e il germanio, anch’essi estremamente utilizzati nella produzione di microprocessori e non solo.
Insomma, la sfida che sta avvenendo fra le due più grandi potenze economiche si sta giocando in un mercato estremamente gettonato, e nessuna delle due vorrà sicuramente perdere. Sebbene l’America abbia in casa diverse importanti aziende produttrici di processori, la Cina gode di un estremo vantaggio competitivo nella fase iniziale della catena di produzione. Inoltre, le misure punitive adottate dagli Stati Uniti per frenare la competitività cinese potrebbero avere delle ripercussioni negative nei loro stessi confronti nel corso dei prossimi anni.
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